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Gli ultimi saranno gli ultimi

Colacci Luciana è un’operaia a contratto annuale, in quel di Nepi, provincia profonda laziale, sposata coll’eterno ragazzo sfaticatone, che si dà da fare in affarucci mai a buon fine. Incinta perde lavoro e sicurezze. Il suo destino s’incrocia con quello si Zanzotto Antonio, poliziotto in crisi. Il film (ITA, 15) ha una genesi anomala per il cinema italiano: nasce da un’omonima opera teatrale del 2005, che ha cavalcato i palcoscenici di tutt’Italia fino al 2007 con 189 repliche, e 255mila spettatori. Un successone. Un monologo,interpretato da Paola Cortellesi, che la vedeva mattatrice, infaticabileone-girl-show dare vita a tutti i ruoli. Esso era diretto da Massimiliano Bruno, e da lui anche scritto in collaborazione con Giampiero Solari. Da notare che il testo era precedente alla crisi economico-sociale che dal 2008 fino ad oggi, sta attanagliando il nostro paese: crisi che ha messo ancor più in evidenza come la quelle forme contrattuali d’impiego erano truffaldine; mascherando delle assunzioni prive di ogni tipo di difesa dei diritti sindacali. Ma che oggi, col cosiddetto “Contratto a tutele crescenti”, sono state rese, a dispetto dell’altisonante titolazione, perfino più precarie. Quindi una riflessione ancora più attuale. Quel testo, opportunamente allargato e sviluppato, è diventata la sceneggiatura del film, scritta da Paola Cortellesi, Massimiliano Bruno (che l’ha diretto), Furio Andreotti, Gianni Corsi. A mio avviso può dirsi un’operazione sostanzialmente riuscita. Perché il film funziona. Le vicende di Luciana non sono semplicemente emblematiche di uno stato di affanno che colpisce interi ceti di popolaione, una specie di manifesto sociale, ma sono connesse alla riflessione su un personaggio vivo e reale, nella sua sentimentale e indifesa fiducia verso gli altri eil mondo: non è una macchietta o un grillo parlante. Paola Cortellesi esprime un senso della precarietà che da economica diventa, come avviene nella realtà, esistenziale. La dimensione psicologica della trasformazione, ovviamente accompagnata da altre difficoltà e stridori di vita di famiglia, si pone sul piano inclinato del gesto disperato. E non ne abbiamo vistia decine sui tg? Cui fa da interfaccia il parallelo destino del poliziottoperdente, un introverso e perfetto Fabrizio Bentivoglio. E’ inevitabile che si incontrino: e qui scaturisce la dimensione upgradata del mélo. Il suo apice. Ma la macchina narrativa nella sua necessaria esplicitazione trova un punto di conclusione che tiene conto delle dinamiche regresse, e le chiude: non le lascia in sospeso. Ha il coraggio di dare un senso all’insieme. Numerosi critici (non tutti) hanno storto il naso: hanno “sentito”poco credibile il passaggio dall’analisi sociale, attraverso l’accompagnamento di una  commedia corale provinciale di tanti sfigatoni in quel simil-dialetto dell’alto laziale, al melodramma. E in effetti, qualche passaggio era insistentemente teatrale: come la figurina del prof anziano, sempre pronto a strologare; oppure quello, in sé bellissimo, di come la Cortellesi, pur dicendo che era un lavoro brutto e uno stipendio di fame, ribadisce con convinzione che era il “suo” lavoro, il “suo” poter vivere dignitosamente una vita: il suo posto nel mondo. Ma,  raccordato all’insieme, il suo dire aveva un suo convincente rilievo narrativo. E poi: ma scusate, cos’era la Commedia all’Italiana, se non lo sforzo di coniugare commedia, mélo, analisi sociale in una struttura narrativa unitaria in cui il paese intero potesse riconoscersi? Correttamente il regista l’ha definito un “racconto popolare”. Ha molto aiutato il tipo di inquadratura adottato dal Direttore della Fotografia, il bravissimo Alessandro Pesci, che nei decenni ha saputo accompagnare molto giovane cinema italiano. Qui il calore della dimensione corale fa da contrasto colla luce sempre fredda e notturna, anche in pieno giorno, delle atmosfere di fabbrica, ad esempio. Importante è stato altresì il lavoro della montatrice Alessandra Pandolfelli, professionista di lunga esperienza: i piani temporali narrativi sono numerosi, ma sono spezzati e gestiti con avvolgente ed elegante senso dei tempi. La sequenza finale, ad esempio, che nasce all’interno di un’animata festa popolare, è di un notevole difficoltà: ma la riuscita è totale. La Cortellesi, duttile, brillante e vera intellettuale, si avvia a diventare ciò che era Monica Vitti negli anni 70.

Francesco Capozzi

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