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Birdman: il ritratto di una società sbagliata

In un mondo in cui la cultura viene soppiantata dall’ignoranza, in cui il grande cinema è surclassato dai cinepanettoni, in cui i meno talentuosi beccano il maggior numero di mi piace su Facebook, forse Riggan Thomson doveva semplicemente rimanere il supereroe che lo ha reso famoso.

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oscar

con il suo ultimo film, Birdman, con il quale ottiene dieci nomination all’Oscar.

Riggan Thomson (Michael Keaton) ha circa sessant’anni e lotta per mettere in scena a Broadway uno spettacolo ispirato a un’opera di Raymond Carver. La voce di Birdman, supereroe che ha interpretato nei suoi tempi d’oro, continua a vessarlo, pronto a dare suggerimenti e a persuaderlo, convincendolo di avere doti come la telecinesi o il potere di far lievitare gli oggetti.

Cerca la fama di una volta, sperando di ottenerla con qualcosa di estremamente diverso da ciò che lo ha reso famoso, un’opera teatrale che rispecchia la sua voglia di cultura. Il fantasma del blockbuster, tuttavia, continua a perseguitarlo e sembra non lasciargli tregua.

Birdman è un lungo piano sequenza di due ore, realizzato non senza qualche trucchetto che può ricordarci Hitchcock e il suo Nodo alla gola del 1948, impreziosito dalla fotografia di Emmanuel Lubezki, recente Oscar per il film Gravity (2013).

Riggan è un personaggio complesso, la sua situazione familiare non è delle migliori: sua figlia, teenager schiva e intrigante interpretata da Emma Stone, è appena uscita dalla riabilitazione e la sua ex moglie, con la quale ha comunque un tenero rapporto affettivo, lo ha lasciato successivamente ad alcune manifestazioni di precaria sanità mentale. Lui si ritrova così ad affrontare, in un certo senso, una battaglia contro se stesso e contro la società in cui vive, cercando di raggiungere il suo obiettivo senza scendere a compromessi, talvolta rinnegando il suo passato che però viene sempre a galla. La trama è infittita dalle storyline degli altri attori tra i quali spicca Mike Shiner, interpretato da Edward Norton, che è veramente se stesso solo sul palco e che ha un flirt con la figlia di Thomson.

“Tu non sei un attore, sei una celebrità”. E in questa frase scopriamo il concetto fondamentale del film che ci fa riflettere sull’involuzione della massa interessata all’apparenza, più che ai contenuti, incapace di separare l’artista dalla sua arte, interessata più alle foto di un paparazzo che a quelle di una mostra. Riggan è alla continua ricerca della gloria passata perché vuole dimostrare a se stesso che in realtà la sua fama è data dal suo talento e non deriva dal celebre ruolo che interpretava. Purtroppo, però, nonostante la rappresentazione del suo lavoro teatrale, la gente in strada vuole farsi fotografare con lui perché interpretava il supereroe di un film d’azione e su internet tutti lo cercano per la sua corsa in mutande causata da un inconveniente e non perché a Broadway c’è il suo spettacolo.

Il film dovrebbe spingerci a riflettere sull’uso sbagliatissimo dei mass media che talvolta preferiscono informarci sul modo di vestire di un ministro piuttosto che parlare dell’ultimo avvenimento politico avvenuto, sprecare righe su righe per i litigi dei programmi televisivi trash piuttosto che attirare la nostra attenzione su questioni ben più importanti.

Costellato di dialoghi pungenti, mai scontati, che fanno riflettere e sorridere. Chi desiderava una caratterizzazione psicologica di Thomson maggiormente dettagliata c’è da dire che forse la vera protagonista del film è proprio la società stessa, filtrata attraverso l’esperienza dell’attore, in cui Keaton riesce a immedesimarsi perfettamente, guadagnandosi la nomination all’Oscar come miglior attore protagonista. Interessante, piacevole e accattivante. Su, correte al cinema!

Anna Scassillo

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