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Il ruolo della fotografia

A noi non basta l’obbedienza negativa, né la più abietta delle sottomissioni. Quando ti arrenderai a noi sarà di tua spontanea volontà (George Orwell, in 1984).

IL RUOLO DELLA FOTOGRAFIA NELLE ARTI VISIVE E NELLA SOCIETÀ

Il ruolo giocato dalla fotografia nella società, non solo quindi nel rapporto con le altre arti visive, può assumere contorni labili eppure rilevanti.

Si pensi a quanto sia importante nella letteratura. Va da sé che lo sia nel libro d’arte, oggetto d’arte in sé, appunto, carico di significati che ne integrano l’appeal riconoscibile anche dai commercianti. Ma si pensi, vivisezionando il libro, alla impostazione grafica, alla quarta di copertina e alla copertina che molto spesso ruota attorno a una fotografia potente. Essa deve essere capace di sintetizzare il senso della storia raccontata. La stessa cosa accade per i libri cosiddetti virtuali. Ciò, anche se in Italia si legge ancora pochi e-Book, mentre è un fenomeno che assume rilevanza notevole in alcuni Stati, a esempio in U.S.A., e, tra i Paesi europei, in Germania. Per questo le cover sono molto curate, dovendo assumere il ruolo di protagoniste, assieme al titolo. L’acquirente non potrà sfogliare il libro virtuale, non ne potrà sentire l’odore che è coinvolgente quando si va in libreria. Pertanto la cover dovrà non solo sintetizzare la storia ma offrire quel quid in più per indurre il possibile acquirente a leggere l’anteprima o almeno solo la sinossi sintetica: quattro righe che, assieme alle sensazioni tratte nell’osservare l’immagine di copertina, dovranno invogliare all’acquisto.

Naturalmente il ruolo della fotografia è ancora più potente nei libri che si occupano di fotografia. Per poter avvalersi di uno sguardo di assieme, dell’impatto che danno alcune copertine, si consiglia questo link.

Vi sono anche casi di associazioni che organizzano concorsi fotografici avvalendosi del ruolo giocato dalla fotografia sia nelle altre arti visive che nella letteratura. A esempio, usano promuoverli ideando temi impliciti in un romanzo o in una opera cinematografica o connessi alla storia emergente da un quadro e così via. Un esempio alto è offerto dai concorsi fotografici organizzati dalla Associazione Culturale LocoMotiva, retta da una banda di giovani motivati, fiori all’occhiello di una Italia ancora poco nota ma che in realtà è la spina dorsale di una cultura imprescindibile. L’ultimo concorso fotografico che ha organizzato titola ‘Inquinamento artistico’. Non ha un tema ma invoglia l’eventuale partecipante a individuarlo in una suggestiva traccia audio che inizia e finisce con la parola ‘brusio’.

La sua missione è “l’Associazione Culturale LocoMotiva nasce nel 2011 dall’idea di un volenteroso gruppo di ragazzi, uniti dall’intento di promuovere lo sviluppo di attività culturali e artistiche, valorizzando le risorse locali e no, e cercando di far nascere nei giovani l’interesse verso una maggiore partecipazione alla vita della nostra comunità. LocoMotiva è trascinare verso la partecipazione attiva, sfondando le barriere dei luoghi comuni e dando nuova linfa e valore al ‘loco’ comune, a cui tutti possono prendere parte senza essere ‘di parte’.”

Il concorso, invece, è parte di un progetto: “Inquinamento Artistico è un progetto che prende forma grazie all’impegno e al lavoro profuso dalle donne e dagli uomini dell’associazione, sempre attivi e impegnati sul territorio e sempre determinati ad avvicinare le persone di tutte le età alle forme d’arte, alle tematiche di attualità e alle serie problematiche che investono la comunità”.

Naturalmente la fotografia può disimpegnare anche un ruolo negativo e non solo in situazioni chiaramente aberranti: si pensi alla pedofilia, ai miliardi di immagini distribuite sia in carta stampata che nel web; esse vedono come soggettivi inconsapevoli bambini, e addirittura neonati. Non sono certamente ritratti per ricordare momenti di tenerezza bensì come strumenti di perversione erotica e per fatti meramente economici, un mercimonio indigesto e da perseguire con decisione. 

In ciò rileva anche l’atteggiamento a volte superficiale di chi ama quei bambini, i genitori, e non solo, che troppo spesso offrono le loro immagini nei social. Il ruolo rilevante, in questi casi, non è tanto della fotografia in sé ma del fotografo e di chi realizza, anche senza alcuna competenza tecnica (conta poco la qualità dell’immagine per certi orchi), acquista, diffonde, osserva le immagini.

In queste situazioni svanisce il senso di solitudine del fotografo etico, quello che osserva la società assumendosi il compito di individuare il dolore e raccontarlo, coerentemente con le proprie scelte che non sono affatto sempre agevoli. Si pensi al dilemma davanti a cui si può trovare il fotografo di guerra: Far vedere oppure no i corpi martoriati? Usare il devastante dolore che provoca lo scorgere la morte nello sguardo spento? Contestualizzare il rosso del sangue che sprizza dal costato dell’ennesima vittima o sbatterlo in primo piano? 

Si tratta, come si può rilevare, di un tema affine a quello connesso alla recente vicenda delle baby prostitute romane che venivano prostituite nell’appartamento ai Parioli, nella cosiddetta Roma bene (dire ‘si concedevano’ sarebbe stato assurdo, dovendosi dare rilevanza a una volontà che non può esistere come atto di libertà forse mai, ma certamente non a quell’età). Nel giro di poche ore si è discettato sull’accaduto in tutte le salse possibili, una serie infinita di articoli e di programmi televisivi. Ciò accade anche se la tutela del minore è alla base della deontologia giornalistica, dovendosi assumersi l’obbligo di difendere la riservatezza e la privacy del ‘soggetto debole’, quello obiettivamente privo di difese. Sarebbe stato necessario, invece, trattare la notizia chiedendosi quale fosse il limite insuperabile per non danneggiare le vittime minori. Si è voluto, purtroppo, privilegiare l’audience a scapito della privacy, regolamentata dalla Carta di Treviso, nonché dell’essenzialità dell’informazione, così come è stabilita nel Codice Privacy e dell’art. 7 del Codice Deontologico. Va da sé che si è travalicato anche il limite della normale discrezione, emergente già nel cosiddetto senso comune, nei riguardi dei soggetti deboli. Se nel diritto di cronaca, dunque, occorre bilanciare informazione e riservatezza, è chiaro che l’enfasi mediatica non può essere cavalcata neppure dal fotografo. Ciò assume rilevanza considerando che l’enfasi mediatica di una sola notizia si inscrive in una serie di atti che danno sostanza alla invadenza dei media. È, questa, la via che conduce alla assuefazione e dipendenza dalla cronaca/spettacolo, della quale un sintomo rilevante è nella curiosità morbosa. Purtroppo quell’enfasi conduce anche alla anestesia di frotte di utenti rispetto a temi rilevanti che resteranno celati, senza mai salire agli onori della cronaca, proprio perché non interessano. Risultano evidenti, dunque, gli effetti negativi che potrebbe implicare una sola foto delle ragazze romane, rubata nella loro quotidianità e divulgata. È assordante, invece, il sostanziale silenzio e il vuoto di immagini significative (eccetto rari esempi) rispetto a temi che dovrebbero essere affrontati a livello mondiale, come la discriminazione della donna sul posto di lavoro e la violenza tra le mura domestiche. Quei temi, insomma, talvolta usati solo per stare in una moda o mettersi a posto la coscienza e, come accade nella giornata della cosiddetta festa della donna, passato il santo, passata la festa …

Alessia Orlando e
Michela Orlando

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