Si può convenire che la pellicola cinematografica altro non sia che un susseguirsi di fotografie (pose), a una velocità tale che il cervello non possa isolarle singolarmente. Ne trae, pertanto, la sensazione che stia davvero osservando una serie di azioni, tanti momenti di vita che assieme formano una narrazione. Non si può però negare che anche un singolo fotogramma possa avere la forza di un racconto. È, tuttavia, inevitabile che l’osservatore legga la foto aggiungendoci del suo. È per questo che i grandi fotografi non spiegano le loro opere. La forza deve essere nell’immagine ed è da quella che occorre dedurre i messaggi. Da questo punto di vista è condivisibile la scelta di chi esponendo le proprie fotografie si rifiuti di apporre una didascalia, limitandosi a un breve titolo. Non manca chi ritiene che pure la titolazione possa essere fuorviante e superflua giacché spesso è richiesta per aggiungere significati che la fotografia non ha o per trarla fuori da una certa ambiguità di significati.
Il racconto può essere anche contenuto in una sequenza di fotografie, come accade nelle mostre caratterizzate da una traccia che il fotografo si è imposto. Da ciò si può giungere anche al fotoromanzo. Siamo di fronte a un tipo di racconto che si fonda su singole immagini poste in sequenza. Esse, nella maggior parte dei casi, sono scattate in set idonei, costruiti appunto per restituire l’ambientazione prevista dalla sceneggiatura. Va da sé che, in questo caso, i protagonisti siano attori e i più apprezzati non possono che essere quelli già noti al pubblico cui la storia è destinata. La differenza rispetto al film cinematografico o televisivo appare chiaramente ed è perfetta la definizione di questo genere come ‘film statico’. Al lettore è richiesto lo sforzo di leggere e osservare le immagini e, come è facile comprendere, queste devono essere pertinenti, nonché stare nel tema, senza affaticare né lasciare incertezze interpretative. Non è difficile immaginare una storia e scattare fotografie che restituiscano il clima, qualora si tratti, a esempio, di raccontare un compleanno, un matrimonio, una festa di paese. Un po’ più complesso è raccontare la vita di più protagonisti seguendoli nella quotidianità, per cogliere i momenti che hanno più forza narrativa, seguendo la trama predisposta. Sono richieste ottime conoscenze tecniche e devono funzionare benissimo le varie squadre chiamate a svolgere i vari ruoli. L’attore che posa è solo l’ultimo momento, quello che segue alla scrittura, all’allestimento del set, al posizionamento delle luci… Sarà, infine, richiesta un’altra professionalità, quella del montatore così come accade nel cinema e l’impaginazione. Si può immaginare che le foto utilizzate siano solo una piccola parte di quelle realizzate e che la scelta non sempre sia facile. Nella costruzione di questo genere di racconti si può trovare una collocazione professionale maturando esperienze dalle piccole faccende quotidiane. Basterà cominciare realizzando foto che non abbiano solo senso in sé ma anche coordinate con altre scattate nella stessa situazione e in altre che abbiano la caratteristica di contribuire, tassello per tassello, a integrare il racconto, per condurlo verso una fine (è il caso delle storie auto concluse) o verso l’attimo più importante che chiude un episodio/atto, creando la suspense necessaria per invogliare a leggere il seguito. In ciò i maestri veri sono gli italiani, a cominciare da Cesare Zavattini e Damiano Damiani. Fu proprio Zavattini a creare il primo giornale settimanale di fotoromanzi: Bolero Film, sceneggiando anche i primi episodi. Il numero 1 di questa testata risale al 25 maggio 1947. Damiani, invece, fu il direttore nei set costruiti per il giornale Il mio sogno che l’8 maggio 1947 pubblicò il primo fotoromanzo. Non a caso il sottotitolo della rivista era Settimanale di romanzi d’amore a fotogrammi. Anche allo scopo di ridurre i costi, furono pubblicate pure storie tratte da film, utilizzando i fotogrammi già realizzati per la pellicola. È così che ci si può imbattere in fotoromanzi titolati: La principessa Sissi, con Romy Schneider o Eliana e gli uomini con Ingrid Bergman.
Questo settore esplose negli anni ’60 e si affermarono case editrici come la Lancio, che aveva già iniziato negli anni ’30, occupandosi di pubblicità, pubblicando testate molto note: Letizia, Charme, Marina … superando anche i confini nazionali. Tra le storie che si ricordano ce ne furono addirittura sette con protagonista Laurea Antonelli.
Nei set di riviste del genere, infatti, mossero i primi passi tanti attori poi famosissimi anche a cinema e teatro: Sofia Loren, Gina Lollobrigida, Vittorio Gassman, Giorgio Albertazzi e così via sino a giungere ad attori tipicamente da fotoromanzo come Katiuscia, Franco Gasparri, Franco Dani e così via, nonché ad attori e personaggi televisivi attualissimi: Riccardo Scamarcio, Alba Parietti, Laura Chiappini…
Attualmente sopravvivono i fotoromanzi in Grand Hotel e in ben cinque testate di edizioni Lancio, pubblicate a cadenza mensile o bimestrale: Sogno, Letizia, Kolossal, Charme, Kiss.
Alessia Orlando e
Michela Orlando