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Food photography: da Leonardo a Luciano Pignataro

“Il cibo crudo è natura, quello cotto cultura” (C. Lévi-Strauss)

FOOD PHOTOGRAPHY: DA LEONARDO DA VINCI E SANDRO BOTTICELLI A LUCIANO PIGNATARO

Il tema è rilevante giacché è innegabile il ruolo che trasporta il personale, il vissuto individuale nello spazio di una cucina, in bacini amplissimi e sorprendenti. Si potrebbe affrontarlo ricercando intorno al cibo in sé e, pertanto, sarebbe necessario delineare la funzione religiosa dell’alimentazione (si pensi al pane e al vino per i cristiani o al cibo kashèr che ha i requisiti Kasherùt per gli ebrei) con la conseguenza che non sarebbe disdicevole se dalla immagine emergesse il substrato storico e culturale o antropologico. Qualora, invece, si volesse dare rilevanza alla immagine del cibo, ormai divenuta pietanza che deve apparire appetibile anche per ragioni commerciali, allora l’approccio dovrebbe spostarsi verso i requisiti definibili artistici. La foto dovrebbe, in questo caso, a esempio motivare l’osservatore a recarsi presso questo o quell’altro ristorante, raccontando qualcos’altro oltre la mera immagine. La pietanza, in sintesi, avrebbe già soddisfatto il senso della vista e attivato il processo digestivo causando l’acquolina. Va da sé che la pietanza richiesta dovrà avere anche i requisiti estetici visti nell’immagine, malgrado i tanti plausibili trucchi di ripresa. I trucchi: quasi mai il cibo visto in fotografia è commestibile. Non sarebbe una sorpresa, a esempio, scoprire che una macedonia sia stata riprodotta con frutta di plastica o frutta acerba, trattata come fosse il volto di una modella. Ciò trasporta il fotografo in una situazione ben più ampia di quella in cui è chiamato soltanto a scattare applicando i criteri professionali di cui sia dotato. Dovrà avere senso estetico, indubbiamente, ma anche conoscere i gusti dell’osservatore oppure riuscire a influenzare quelli della possibile platea di osservatori in maniera da stuzzicarne la curiosità, far nascerà la voglia di assaggiare i cibi fotografati. In questo ambito entra anche il ruolo della composizione che è indubbiamente gesto artistico non certo recente. Basti pensare a Leonardo da Vinci e al suo L’ultima cena. È plausibile già da quella immagine dedurre che egli si occupò di cibo e lo amò e infatti: come emerge dalla prefazione del libro di Shelagh e Jonathan Routh, Note di cucina di Leonardo da Vinci, lasciò in eredità notevole parte dei propri beni alla sua cuoca, Battista de Villanis. Altro elemento per capire l’approccio di Leonardo alla cucina: dipinse una delle insegne del ristorante Le Tre Rane di Sandro e Leonardo, gestito con Sandro Botticelli. Si può opinare che avrebbe saputo ottimamente fotografare le loro pietanze se fosse già stata inventata la fotocamera. Da questa vicenda si trae la convinzione sia del tutto normale il passaggio da attitudini artistiche o di altro genere a competenze culinarie. Simile, tutto sommato, la vicenda di Luciano Pignataro che dal movimento studentesco salernitano passa alla Redazione di Dossier Sud, epico giornale salernitano creato da un gruppo di giovani, che trovò nel nome di Joe Marrazzo, originario Direttore, un punto di riferimento potente, per passare al Mattino e affermarsi come scrittore di punta sul tema Food e Wine. Per non dire del suo blog dove è possibile scoprire la sua predilezione per una versione della Parmigiana a base di zucchine, nata nel Vallo di Diano. Dalla immagine che correda sia la ricetta che la formidabile storia in cui la si inscrive, si comprende come chi l’ha realizzata abbia voluto dare subito l’impatto della forma, che la distingue dalla versione classica.

Ritornando al cibo da fotografare, risulta intuibile che essi non possano avere una brutta cera anche se non occorre escludere la post produzione. Non sempre, tuttavia, sarebbe possibile risolvere i problemi originari. Si consideri, a esempio, una trota salmonata. È ovvio che se la si cuoce prima di fotografarla, perderà le caratteristiche di colore che la rendono interessante sul piano fotografico e addirittura appetibile. Non si dovrà, pertanto, escludere la possibilità di comporre il piatto da fotografare con cibo crudo (per approfondimenti sulla composizione).

Cambieranno, di conseguenza, anche le tipologie di luci da utilizzare poiché le superfici ritratte avranno diversi potenzialità di riflessione. Ideale, in genere, sarà la luce naturale di certe ore, quella che entra da una balconata, a esempio, che non sarà proveniente da fonte troppo accesa. Il risultato sarebbe pessimo: riflessi disturbanti, ombre troppo accentuate. Particolare cura occorrerà destinare al contesto e agli attrezzi arredanti. L’ambientazione dovrà essere coerente. A esempio, sarà adatto un piatto rustico con decori tipici del territorio qualora la pietanza sia la Parmigiana di zucchine di Luciano Pignataro ma a ben altro occorrerà pensare se si tratterà di riprendere gamberi e passatina di ceci … Occorrerà anche considerare la telegenicità del piatto. Un piatto grande se è bello alla vista non è detto che lo sarà in fotografia e per questo spesso si usano i piatti da dolce anche per i primi piatti. Ovviamente la differenza di grandezza non emergerà poiché nel set non appariranno elementi di confronto che ne svelerebbero le dimensioni ridotte. Lo stesso angolo di ripresa agevolerà il nascondimento del trucco. Normalmente occorrerà prestare attenzione allo sfondo che, soprattutto qualora la pietanza non sia ripresa dall’alto, potrà distrarre attirando l’attenzione. Buona regola sarebbe realizzare foto che lascino all’osservatore la sensazione che stia guardando seduto, a tavola mentre per quelle aeree sarà richiesta la capacità di individuare i punti di forza e le tessiture che rendono le immagini più o meno interessanti. Anche per questo genere di fotografia potrà tornare utile l’applicazione della cosiddetta regola dei terzi, come se si guardasse la spiaggia, il mare, la linea dell’orizzonte, il cielo. Non è da escludersi, tuttavia, l’ipotesi in cui sia opportuno stravolgere questa regola (un esempio potente) per segnalare con più forza, a esempio, un accostamento di colori, una tessitura in una porzione della pietanza, magari mettendo a fuoco solo quella. In conseguenza dell’ora, se ci si avvale della luce naturale, o della intensità della luce artificiale, si valuterà se usare o meno il cavalletto. È normale che la scarsità di luce richiederà più tempo di esposizione e, pertanto, la necessità di mantenere ben ferma la fotocamera per più tempo, appunto, fissandola al cavalletto. Per non distrarre l’osservatore quasi sempre si accentuerà lo sfuocato utilizzando diaframmi luminosi e aperture tra f 2.2 e f 1.4 ma anche in questo caso la post produzione potrà rendere la foto soddisfacente nell’ipotesi in cui si siano usate aperture inadeguate. Va segnalato che anche se le immagini di food sono tra le più pubblicate nei social, prodotte soprattutto da smartphone nelle varie occasioni conviviali, non ci si potrà accontentare di bassa qualità per le riviste e i blog di cucina. Pertanto occorrerà dotasi di una fotocamera reflex e qualora si volesse evitare il cavalletto, curarsi di poggiarla in maniera stabile. 

Alessia Orlando e
Michela Orlando

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