Home / WebRadio / Vip blog / Kronos e Kairòs / Squadristi a Ercolano. Una pagina tragica di storia da non dimenticare

Squadristi a Ercolano. Una pagina tragica di storia da non dimenticare

Nei numeri di marzo-aprile del 2012 e del 2013 di Poliziotto e Cittadino abbiamo pubblicato i risultati di una nostra ricerca su un episodio di violenza fascista che vide tra le vittime un ercolanese. Analizzando i giornali dell’epoca abbiamo ritrovato gli articoli che descrivono quanto avvenuto e ci permettono di completare il mosaico della vicenda e ricordare le vittime della violenza di un passato da non dimenticare per non essere condannati a ripeterne gli errori.
Scriveva Alexis de Tocqueville: “Quando il passato non rischiara più l’avvenire, la mente cammina nelle tenebre”. Purtroppo, sembra che gli uomini del nostro tempo e, soprattutto, le nuove generazioni siano diventati tutti smemorati e ciò mette seriamente in pericolo i valori più autentici e la vera libertà.
Ricordare, quindi, un pezzo della nostra storia può aiutare la memoria e a capire meglio anche noi stessi.
Giovani Giolitti, per sconfiggere le opposizioni che impedivano le sue trame politiche conservatrici indisse le elezioni per il 15 maggio del 1921 alleandosi con i fascisti nei Blocchi nazionali, illudendosi di addomesticarli, e appoggiando apertamente gli squadristi e le loro violenze contro sedi di giornali, di sindacati, di partiti, contro amministrazioni comunali, militanti politici, semplici cittadini e contro la forza pubblica che interveniva per far rispettare la legge. Il bilancio di morti e feriti durante la campagna elettorale era stato alto e la domenica del 15 maggio, giorno di voto, i famigerati camions carichi di squadristi continuarono la loro azione terroristica.
I giornali dell’epoca, come Il Mattino e il settimanale Il Soviet, organo del Partito Comunista d’Italia sezione della Terza Internazionale, diretto da Amadeo Bordiga, ci narrano quello che accade nella provincia di Napoli.
Erano le undici del mattino della domenica di voto del 15 maggio del 1921 quando tre camion con venti fascisti, lanciati a grande velocità, giunsero nella piazza di Ponticelli e assaltarono quattro circoli comunisti. Gli squadristi iniziarono a sparare colpi di rivoltella e a lanciare petardi e ferirono tre cittadini. Gli abitanti di Ponticelli iniziarono a fuggire terrorizzati e un giovane di quindici anni Aniello Riccardi, detto Radames, poverissimo, orfano di padre, operaio nell’Officina partenopea e iscritto nella locale sezione giovanile comunista fu colpito da un proiettile di fucile che gli aveva fracassato l’occhio sinistro e si era conficcato nel cranio.Spirò dopo pochi minuti. Anche un altro giovane di ventidue anni Pasquale Migliaccio fu colpito Il disgraziato fu sollevato a braccia dai parenti, fu trasportato verso la frazione di San Rocco e poco dopo, date le condizioni assai gravi in cui versava, fu adagiato in una vettura e trasportato all’ospedale Loreto ove morì. Ponticelli fu sconvolta dal terrore, i comunisti scomparvero dalla circolazione e le urne furono disertate per tutta la giornata. Il maresciallo dei carabinieri Luciferi sbarrò la strada ai fascisti che stavano tentando di attaccare un circolo comunista. A questo punto gli squadristi risalirono sui camion e proseguirono per San Giovanni a Teduccio e, giunti a Portici, entrarono nel bar Simonetti per colpire i presenti, ma furono bloccati da un commissario e dai suoi uomini. Arrivati a Resina (oggi Ercolano) alle 12.30, invasero il circolo socialista dei tramvieri e dei ferrovieri depredandolo delle bandiere rosse e devastando carte, registri e tabelle. Spararono colpi di rivoltella e lanciarono bombe contro cittadini inermi. L’intervento del commissario Braccioli evitò ulteriori incidenti. Uno scontro tra fascisti e militanti di sinistra avvenne in un giardino vicino al circolo socialista dove fu trovata una bomba inesplosa. A Torre del Greco la squadraccia invase un altro circolo socialista e si ripeterono le stesse azioni: strapparono le bandiere rosse, le carte furono distrutte, i registri furono portati via e all’arrivo della forza pubblica gli assalitori fuggirono velocemente tentando di entrare a Torre Annunziata, dove le autorità ne impedirono l’ ingresso. Anche a Castellammare di Stabia trovarono le strade sbarrate e decisero quindi di tornare indietro. Giunti nuovamente a Resina trovarono in via Quattro orologi la forza pubblica e i militanti di sinistra e cercarono di forzare via Cecere, dove si erano raccolti altri oppositori, facendosi strada sparando con pistole e fucili e colpendo il giovane Pellegrino Giordano di 24 anni, operaio nella locale fabbrica di vetri. I suoi compagni lo sollevarono a braccia e lo portarono al posto di medicazione ma vi giunse cadavere. Le sue ultime parole, come la sua esuberante giovinezza, furono per il suo ideale, per la sua fede. Il Soviet di Bordiga scrisse: ”Morì nel nome sacro della rivoluzione”. Quel sacrificio non fu inutile, perché gli assassini furono costretti a fuggire in seguito alla reazione a tanta barbarie da parte dei cittadini che si riversarono per le strade. Gli squadristi furono inseguiti fino a Torre del Greco e furono fermati dal maresciallo Polito, che li fece stendere sul fondo dei camion e li confuse con le guardie regie, per evitare che la folla indignata si avventasse contro di loro per linciarli e li condusse al carcere di Poggioreale.
Le esequie di Giordano Pellegrino furono imponentissime e partecipò tutto il proletariato organizzato di Resina ed una larga rappresentanza della Camera Confederale del lavoro di Napoli. C’erano numerosi vessilli e moltissime corone. Il corteo funebre mosse dalla casa dell’estinto, in via Trentola, e percorse le vie principali del paese sostando a Piazza Pugliano gremita di numerosa folla. Sul feretro parlarono i leader di quel tempo: Cecchi, Schiavone, Venditti e Mastropaolo.
Terminata la celebrazione civile, il feretro fu portato nel Santuario di Santa Maria a Pugliano dove si tenne la funzione religiosa, come risulta dagli archivi della Parrocchia. La stampa non ci riferisce nulla a proposito del rito religioso, ma possiamo immaginare come fosse gremita la chiesa conoscendo il profondo senso religioso dei resinesi del tempo e per lo sdegno per quella morte ingiusta che aveva strappato alla madre, alla famiglia, agli amici e compagni un giovane innocente.
Fu organizzata una passeggiata di beneficenza per la famiglia la domenica successiva e furono raccolte tremila lire; altre mille lire erano già state raccolte nei giorni precedenti insieme ad altre tremila raccolte tra gli operai della vetreria; milleduecento lire devolute per un pranzo per i poveri furono anch’esse donate alla famiglia insieme a quindici mila lire frutto delle sottoscrizioni nelle fabbriche.
Anche per Aniello Riccardi furono raccolti fondi e fu difesa la sua memoria.
Scrive ancora Il Soviet: “Aniello Riccardi e Pellegrino Giordano sono morti da forti combattendo. Noi non li dimenticheremo mai”.
Il capo degli squadristi, Navarra Viggiani (Catanzaro 1890-Roma 1951), responsabile dei delitti, ebbe solo una condanna a quattro mesi di carcere amnistiati e, per il resto della sua vita, non pagò mai per questi e altri delitti che commise in seguito.
Giovanni Giolitti perse le elezioni e aprì la strada a Benito Mussolini che, con le sue violenze squadristiche, con le alleanze che poteva ottenere con la presenza in parlamento di 35 eletti, i finanziamenti di agrari e industriali, l’omertà e la copertura per i suoi delitti, con la complicità della monarchia e dei quadri superiori delle forze armate, l’anno successivo con la marcia su Roma giunse al potere.
Quella domenica di sangue registrò anche un altro morto a Ponticelli e cioè Paolo Scognamiglio, del quale non siamo riusciti a trovare altre notizie se non che era anch’egli un militante di sinistra.
Il grande storico Marc Bloch, nel suo libro Apologia della storia, ha scritto che il passato ci aiuta a capire il presente e quindi a lottare perché non si ripetano più le barbarie che vi sono avvenute e a costruire un mondo più giusto.
Questa nostra piccola ricerca vuole essere quella piccola goccia che, unita a tante altre, possa contribuire a formare l’Oceano di un mondo senza violenza e senza ingiustizie. E se qualcuno pensa che una goccia è poca cosa, senza scomodare il detto latino gutta cavat lapidem (la goccia erode la roccia), rispondiamo con uno slogan del gruppo cattolico Mani Tese che recita: Se molti uomini di poco conto, in posti di poco conto, facessero cose di poco conto, cambierebbe il volto della terra.

Vincenzo e Francesco Accardo

Vedi Anche

Agorà, acropoli e arena

Nell’antica Grecia, l’agorà, la piazza, costituiva un luogo privilegiato d’incontro, di confronto democratico, di laboratorio …