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Adriano Tilgher un intellettuale scomodo.

Adriano Tilgher nacque a Ercolano ( a quel tempo Resina) il giorno 11 gennaio 1887 in via Marina da Achille Tilgher e da Rosa Ottò. A Napoli compì gli studi ginnasiali, liceali e universitari e si laureò brillantemente in giurisprudenza a ventidue anni. Vinse un concorso pubblico nelle Biblioteche governative come sottobibliotecario reggente, prima alla Biblioteca universitaria di Torino e dal maggio 1911 alla Biblioteca universitaria Alessandrina di Roma. In Piemonte iniziò a collaborare a quotidiani e riviste culturali stringendo amicizia con personalità di rilievo del mondo culturale nazionale. Nel 1912 tornò a Napoli per sposarsi con Livia De Paolis sua compagna di liceo e con lei andò a vivere a Roma fino alla morte. Era un uomo per indole naturale portato all’ordine, all’osservazione, alla riflessione e al ragionamento rigoroso. Fin da giovane si rivelò un accanito lettore di libri, che nella lettura perdeva anche la cognizione del tempo e del mondo circostante, ma era dotato di una grande sensibilità e di una grande capacità di comprensione umana. Oltre a collaborare a riviste e giornali era un brillante oratore. Nei suoi scritti e discorsi accendeva dubbi che spronavano e guidavano alla ricerca della verità. Possedeva una cultura vasta e multiforme che gli permetteva di trattare di storia e di politica, di economia e di critica d’arte, oltre ad essere appassionato di teatro e tra i primi a conoscere e ad apprezzare Pirandello, del quale fu amico e promotore della sua opera. Non ebbe figli ed e mantenne uno stile di vita molto semplice. Tilgher costituisce un indubbio e importante punto di riferimento per coloro i quali vogliono studiare la storia della cultura italiana della prima metà del Novecento. Amava lo studio della filosofia e i suoi scritti di giovane universitario gli valsero una segnalazione a Benedetto Croce che, conosciutolo di persona e constatate le sue vaste conoscenze filosofiche e la conoscenza del francese e del tedesco, lo incoraggiò a tradurre opere di Cartesio e Fichte da pubblicare nella collana dei classici della filosofia dell’editore Laterza. Egli si inserì nel dibattito filosofico e, partito da posizioni crociane, era approdato ad una sua personale visione filosofica, in particolare l’Estetica tilgheriana, pur ispirata a Croce, ne rifiutava la rigorosa distinzione tra il conoscere e il volere, tra la teoria e la prassi. Dopo il trasferimento da Torino a Roma nel 1912, entrò a far parte del gruppo di giovani intellettuali (G.A.Borgese e G.Amendola tra gli altri) riuniti intorno alla rivista “La Cultura”, inizialmente di impostazione crociana e poi sempre più critica verso il filosofo abruzzese. La prima guerra mondiale portò il filosofo ercolanese a riflettere sulle sue cause culturali, oltre che politiche, e anche in queste riflessioni, partito da posizioni idealistiche, finì per assumere chiare posizioni antistoricistiche approdando ad un sostanziale scetticismo. I rapporti con Croce incominciarono a incrinarsi. Quest’ultimo gli chiedeva il rispetto dei tempi concordati nella consegna dei lavori di traduzione, rivendicava il diritto a che le bozze del materiale prodotto passassero al vaglio della sua lettura e ottenessero la sua autorizzazione prima di essere stampate. Il nostro, invece, aveva bisogno di tempi di lavoro più distesi e chiedeva maggiore autonomia, ma Croce non tollerò i comportamenti ribelli del giovane studioso e raccomandò l’editore Laterza di non affidargli altri lavori, né di pubblicarne. La rottura completa avvenne quando Tilgher si rese conto, alla fine della guerra, che lo storicismo era la filosofia della borghesia conservatrice, che prima si era spinta in una guerra rovinosa e poi si era dimostrata incapace di far fronte ai gravissimi problemi che essa stessa aveva generato. Adriano Tilgher, pur non occupandosi direttamente di politica, all’avvento del regime fascista con le sue violenze e soppressioni delle libertà democratiche, si schierò dalla parte degli oppositori e firmò il Manifesto degli intellettuali antifascisti di Benedetto Croce pubblicato il primo maggio 1925 in risposta al Manifesto degli intellettuali fascisti del filosofo Giovanni Gentile. Nel clima di violenze fomentate da Benito Mussolini e dallo squadrismo fascista, il filosofo ercolanese e lo scrittore calabrese Corrado Alvaro, suo amico e firmatario anche lui del manifesto, subirono insieme il 25 settembre 1925 un duro pestaggio. Con il filosofo fascista Gentile aveva un conto aperto già dal 1924 quando scrisse contro di lui il pamphlet “Lo spaccio del bestione trionfante.”con il sottotitolo “Stroncatura di Giovanni Gentile. Un libro per filosofi e non filosofi” in cui lo definì un usurpatore miserabile della fama di filosofo emerso dalla folla solo perché si era arrampicato sul rogo che aveva arso le carni di Giordano Bruno. I rapporti tra i due filosofi si erano inaspriti allorché Gentile, diventato Ministro dell’Istruzione del governo Mussolini, intervenne nella vita lavorativa di Tilgher sottoponendolo a trasferimenti, pressioni e controlli che lo esasperarono a tal punto da provocarne le dimissioni. Nel pamphlet, scritto dopo quest’ amara esperienza, egli mise a confronto Croce e Gentile esaltando le doti intellettuali del primo e attaccando duramente quest’ultimo e anche la sua riforma della scuola: lo definì un voltagabbana che dal liberalismo era passato al fascismo per schierarsi dalla parte del vincitore. Lasciato il lavoro di bibliotecario, intensificò la sua collaborazione ai giornali e alle riviste più importanti. Mussolini, dopo il delitto Matteotti, riuscì a rafforzare il suo potere e fu più duro nel controllo della stampa e iniziò a censurare gli intellettuali che gli erano ostili e tra questi anche Tilgher, il quale vide i suoi articoli tagliati o rispediti al mittente. Senza più la possibilità di scrivere e senza il lavoro di bibliotecario, le ristrettezze economiche costrinsero il filosofo a chiedere aiuto al regime tramite un vecchio amico, il conte Giovanni Capasso Torre che era a capo dell’Ufficio Stampa del governo di Mussolini. Nel 1927 era sottoposto a pedinamento nonostante non svolgesse attività politica e questo gli creava isolamento e difficoltà nel trovare lavoro. Nel frattempo Capasso Torre, che aveva preso contatto con il duce, fu autorizzato ad accordarsi col direttore del quotidiano”La Stampa” il quale pretese dal filosofo un articolo di adesione al fascismo e l’iscrizione al sindacato fascista dei giornalisti. Queste condizioni erano umilianti e inaccettabili e Tilgher rifiutò. Pur essendo un filosofo di radici hegeliane e perciò sostenitore di uno Stato forte, era comunque schierato dalla parte di coloro che combattevano giustamente per la libertà e la democrazia. Aveva scritto per “Il Mondo”di Giovanni Amendola, per “La rivoluzione Liberale”di Piero Gobetti e per “Il Quarto Stato”di Carlo Rosselli. Durante il regime scrisse ventitré libri e rimase sempre un uomo indipendente, amico di Ernesto Buonaiuti che aveva perso la cattedra universitaria per i suo rifiuto di giurare fedeltà al fascismo. Nel 1930 era di nuovo sorvegliato e, per spezzare questo controllo, incominciò a frequentare quotidianamente chiese, mostre, musei, gallerie, fori e catacombe, costringendo gli agenti che lo pedinavano a lunghe e massacranti scarpinate e, pochi mesi dopo, il decreto di sorveglianza fu revocato. Un poliziotto che l’aveva pedinato, un giorno andò a fargli visita a casa e lo ringraziò poiché nel seguirlo in tanti luoghi ricchi di cultura aveva imparato tante cose risvegliando in lui il desiderio di studiare. Quando nel 1940 l’Italia fascista entrò in guerra, egli previde la catastrofe e la rovina cui sarebbe andato incontro il Paese. Purtroppo, l’emarginazione alla quale fu costretto dalla dittatura, contribuì all’insorgere della grave malattia al fegato che lo portò a morte prematura nel 1941. Nel suo “Diario politico”, pubblicato postumo, espresse magistralmente l’idea che aveva di democrazia liberale: ”Qual è il miglior Stato? Quello nel quale vorrebbe vivere l’oppositore al potere, e fino a quando fa l’oppositore e chi ha il potere se perdesse il potere e diventasse oppositore”. Adriano Tilgher fu un grande intellettuale e filosofo, un antifascista, un grande Ercolanese che è indispensabile studiare per conoscere la cultura italiana della prima metà del Novecento e il Preside, suo compaesano, Prof. Biagio Felleca, con il libro “Adriano Tilgher un intellettuale scomodo”, dal quale abbiamo tratto titolo e notizie per il nostro articolo, ha scritto un’opera pregevole e fondamentale per conoscerlo in modo scientifico ed è punto di riferimento imprescindibile per chiunque voglia accostarsi in modo serio e documentato alla sua figura.


Vincenzo e Francesco Accardo

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