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Fotografare e scrivere: Nu juorno buono

Fotografare e scrivere: Nu juorno buono, le azioni e le parole taglianti o felpate

Entri in un blog qualsiasi, facciamo l’ipotesi si tratti di quello in cui puoi scoprire o approfondire Wu Ming Foundation o ‘Parlare al vento’ di Salvatore D’Arienzo, e ti fai una idea immediata di ciò che la tua esperienza è in grado di farti notare.

Naturalmente occorrerebbe mettersi d’accordo sul significato di ‘esperienza’, per non rischiare di far esplodere la classica tempesta nel bicchiere, sollevando un inutile vespaio. Potrebbe risultare opportuno almeno gettare uno sguardo a un vocabolario. Tra i tanti, andrà benissimo quello online della Treccani. Scopriamo, così, che il termine non è certo giovane. Il resto, il significato di volta in volta più proprio, sarà inevitabilmente selezionato in base alle esigenze, al tema. Dovendosi trattare di arti visive, di fotografia in particolare, non si sbaglierebbe certo nel parlare di ‘esperienza esterna’ ovvero, come si legge nella pagina segnalata, di ‘percezione degli oggetti e dei fatti a noi esterni’. Analizzando i due blog a partire da questi presupposti, saltano agli occhi certamente le fotografie ma anche le prime parole. Nel primo blog segnalato, nell’esergo: “Ribellarsi è giusto: ma bisogna farlo bene, saperlo fare bene, imparare a saperlo fare bene, e questo è il compito di una vita” (Mario Tronti).

Nel secondo, un altro esergo: ‘Il blog di Salvatore D’Arienzo. Chi?’

Relativamente al primo caso, quelle parole, forse più della foto di Simone Cristicchi e l’analisi del suo Magazzino 18, sembrerebbero rimandare a temi di attualità che stanno incendiando il web. Uno ruota attorno alla canzone sanremese di Rocco Hunt: ‘Nu juorno buono’. Ormai si è scatenato un tifo da stadio ma non per i contenuti del testo, non per il portato diciamo rivoluzionario/innovativo. Infatti, non manca chi addita l’autore come traditore perché, pur essendo salernitano, si sta concentrando su un concerto grosso da tenere a Napoli. Entrare nella sua pagina Facebook offre l’opportunità di giungere in una infinità di altre pagine. Non ci vuole molto a farsi una idea delle scelte dei vari utenti e stavolta ci si potrebbe limitare a partire dalle immagini postate. Si verificherà che quasi mai i titolari delle pagine si pongono il problema della qualità delle foto selezionate. Inutile dire che questa valutazione può essere ritenuta tanto vera quanto inutile. Chiunque, infatti, obietterebbe che l’importante è che arrivino i messaggi. E i messaggi, va da sé, essendo personali, non sarebbero suscettibili di valutazioni da parte degli estranei, dei non amici.

Tuttavia, trattandosi di fenomeni di massa che non possono essere trascurati, è ovvio che chi volesse studiare il ruolo dell’immagine in Facebook, ma anche delle parole, non compierebbe alcunché di scellerato. È un fenomeno simile a quello delle stesse canzoni. Gli alti numeri di vendita di un cd non cancellano la libertà dei critici, liberi di dire in ogni caso “questa è una schifezza”. Naturalmente non ci sarebbe da sorprendersi qualora gli stessi critici, pressati dai grandi numeri, con repentino e forse interessato salto mortale, se ne uscissero con affermazioni di altro tenore, del tipo “sono stato equivocato” e, pertanto, altri ‘mi piace’ si cumulerebbero a valanga.

Da questa escalation si deduce il substrato forse più rilevante: le parole e le immagini, lette e viste nel web, spesso esprimono, sempre più velocemente, ciò che i fruitori hanno dentro di sé. Emerge una sostanza che accomuna un insieme di persone. Esso può essere sterminato. Quella materia è fatta di sensazioni nascenti da un bisogno. È del tutto naturale, pertanto, rispecchiarsi tendendo all’unanimismo. Passa in secondo piano l’esigenza di analizzare le parole o di leggere le fotografie in maniera più meditata, per quel che davvero potrebbero esprimere, relegando a un ruolo marginale le caratteristiche tecniche. In un blog di puerpere, a esempio, conta poco se l’immagine del pargolo lo fa sembrare morto e, purtroppo, è chiaro che nessuno si è preoccupato, chiedendosi se fosse opportuno pubblicare immagini di creature che dovrebbero, in fondo, essere tutelate proprio da chi le ha esposte in una bacheca virtuale, cui tutti possono accedere. Questo meccanismo lascia emergere l’abbandono delle capacità critiche, la disattenzione. Si immagina, quindi, che chi entri in una qualsiasi pagina Facebook lo faccia più per assecondare che comunicare. È una azione che non richiede neppure l’uso della propria forma di intelligenza. Il matematico non dovrà verificare che l’operazione proposta sia esatta. Gli basterà rilevare che c’è, ovvero che chi l’ha postata l’ha fatto, come fosse già solo per questa azione vicino alle proprie attitudini. Ciò gli fa guadagnare punteggi e ovvi ‘mi piace?’.

Per inciso,in relazione alle parole: va da sé che esse possono rappresentare un codice che lascia trasparire lo sforzo di indagine; ancora una volta anche il tipo di intelligenza che caratterizza chi scrive; le esperienze e le scelte di valore di una vita… Naturalmente sempre quelle, le parole, possono suonare false, formare o lasciar intuire concetti espressi in maniera felpata, così da non urtare nessuno. Non è da escludersi, quindi, la possibilità di imbattersi in buone e veloci letture come in quelle, certamente più frequenti, di incocciare in espressioni untuose. Siccome esistono i fonemi taglienti come coltelli, te li puoi ritrovare anche nel web, così come quegli altri che hanno perso senso, sintetizzati in maniera tale da rappresentare brevi grugniti o melliflui sdilinquimenti (pure questa è una vecchia parola, del sec. XVII) che a qualcuno, i vinti che però non vogliono arrendersi anche alle azioni sdolcinate, fanno venire voglia di buttare dalla finestra quegli attrezzi ormai definiti con nuovissime parole: il p.c., il tablet e pure il telefono cellulare…

Non si può generalizzare, dunque, e a esempio nel blog di Wu Ming Foundation si può leggere: “(…) Magazzino 18 di Simone Cristicchi mi è sembrato un’operazione teatrale molto furba con uno scopo politico più che evidente: fornire uno strumento artistico efficace per propagandare la cosiddetta memoria condivisa, tanto cara al mondo politico ‘postideologico’, secondo cui tutti gli italiani devono riconoscersi in una storia comune. Storia comune di cui, fin dal nefasto incontro Fini-Violante del 1998, le foibe e l’esodo sono pietre angolari”. 

Mentre nell’altro blog, quello di Salvatore D’Arienzo, salta subito agli occhi quel “Chi?” dell’esergo. Al di là della probabile, intenzionale, allusione al famoso “Michele chi?”, sembrerebbe voler dire: “So che per te che leggi non sono che uno sconosciuto” e, pertanto, ha la capacità di traghettare il lettore verso un bisogno. Egli, il lettore attento, ineluttabilmente dovrà non solo capire il senso delle parole che leggerà, ma anche rispondere alla domanda indotta, che è più complessa di quel che appare: “Scopriamo questo chi è e dove vuole andare a parare”. La risposta, questa pure, sì, non può che essere personale, tuttavia e guarda caso, egli tratta esplicitamente di Rocco Hunt.

Pur non volendo bruciare le potenzialità della lettura con anticipazioni gratuite, non si può evitare di segnalare che offre una analisi attenta del testo della canzone. Lo fa nell’articolo: La gente che si emoziona per Rocco Hunt.

Segnala, altresì: “Le persone gridano allo scandalo quando sentono cosa succede in Campania. Ma non sono scandalizzate davvero. È uno scandalo da social network. E non è mai collettivo, ma individuale, egocentrico. E così i sudditi di Saviano si moltiplicano, e le copie sono sempre peggio dell’originale, che, tra l’altro, qualcosa da dire ce l’aveva e ce l’ha davvero, facendolo poi con assoluta maestria”.

Peccato, tuttavia, che egli, probabilmente per ragioni di spazio e per non uscire fuori tema, non segnali che anche prima di Saviano c’è stato chi ha parlato/scritto con competenza di camorra e annessi. Uno per tutti. Isaia Sales: ‘La camorra, le camorre’ del 1988 e Le strade della violenza. Malviventi e bande di camorra a Napoli, del 2006. Il sociologo è anche nella Treccani, alla voce camorra.

Alessia Orlando e
Michela Orlando

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