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La fotografia: è un cane. I perchè della fotografia

La società si adopera per far rinsavire la Fotografia, per temperare la follia che minaccia di esplodere in faccia a chi la guarda.

Da: La camera chiara. Nota sulla fotografia (La chambre claire, Paris 1980), di Roland Barthes

La verità è un cane da chiudere in canile, fa dire William Shakespeare in Re Lear al Matto. 

Credo che sia un grave errore guardare tutto, è logorante – le cose si dovrebbero scegliere, ingerire un pochino e poi lasciar perdere, così echeggia Charles Bukowski, allargando il tema, in Shakespeare non l’ha mai fatto (Universale Economica Feltrinelli), un resoconto del viaggio che lo scrittore fece con la sua compagna Linda Lee.

Questo retroscena letterario, tutto sommato, è un modo per rappresentare una faccia della realtà assumendo che ogni cervello è un universo, così come è tribunale. Si dichiara che non c’è una verità assoluta ma una per ogni essere umano e oltretutto mutevole, falsata dalle condizioni degli strumenti percettivi, dalla memoria, dalle condizioni.

Il mondo letterario è sceso anche più di recente nell’arena, incidendo in maniera potente nel tema, entrando nel groviglio della verità che ne nasconde e altre e altre ancora. L’ha fatto Nicola Quatrano, un magistrato napoletano che si è pure occupato della tangentopoli partenopea, in La verità è un cane (Pironti editore), prefazione di Andrea Camilleri che si può leggere a questo link, dove sono anche alcune foto che lo vedono con l’Autore.

Come si può immaginare, lo segnala già Camilleri, la storia narrativa si sviluppa quasi integralmente in un palazzo di giustizia e si incentra su due omicidi. In uno la vittima è Sergio Pivetti, assistente del Pm dottor Francesco Cardarelli, a sua volta incaricato dell’indagine.

Si deve pensare che dal romanzo il lettore potrebbe trarre una idea circostanziata e obiettiva dei meccanismi che regolano la vita nell’interno di un palazzo di giustizia. In realtà, giacché le parole sono dei codici e ognuno può trarne significati diversi, alla fine potrà accadere che si ritornerà ad avere più idee della medesima cosa.

Accade lo stesso con la fotografia. Chiunque legga potrà vederci qualsiasi cosa, in base a quel che ha dentro di sé, in base alle sue esperienze. Ed è difficilissimo che ci sia coincidenza con quel che l’autore ha visto e voleva fissare per sempre.

In tal senso, nella fotografia di obiettivo c’è solo … l’obiettivo e ognuno si potrà limitare a dirsi mi piace, non mi piace, senza che l’autore debba sentirsi offeso.

Non a caso Roland Barthes scrive in La camera chiara. Nota sulla fotografia: Purtroppo, sotto il mio sguardo, molte foto sono inerti. Ma anche fra quelle che ai miei occhi hanno una qualche esistenza, la maggior parte non suscita in me che un interesse generico, e, se così si può dire, educato: in esse non vi è alcun punctum: esse mi piacciono o non mi piacciono senza pungermi.

L’argomento lettura della fotografia, dunque, è centrale ma riguarda l’osservatore e il risultato sfugge quasi del tutto al fotografo, pur se, qualora si ponesse l’obiettivo di impressionare un particolare tipo di lettore, potrebbe approfondire meccanismi psicologici sufficienti per ottenere l’effetto sperato. Si pensi, in tal senso, a quanto possano impressionare talune prospettive, le diagonali o le tessiture (texture) che imprimono ritmo alle foto, al mosso creativo e non casuale, al visto e non visto nelle foto erotiche o alle dimensioni in quelle pornografiche, al patinato e così via.

Per quanto attiene al fotografo, invece, la domanda centrale potrebbe e dovrebbe essere: perché si fotografa? Qualcuno nel web l’ha integrata virando verso qualcosa che induce a porsi altre domande ed emerge quanto mai il problema dell’uso distorto del corpo delle donne e, in certi casi, di quello degli uomini.

Basta accedere alla pagina facebook e dovrebbe essere consequenziale chiedersi se l’idea sia venuta a un maschio che maschera altre intenzioni o alle ragazze che si espongono o a una azienda che produce protesi per seni. Ipotesi, l’ultima, che potrebbe apparire peregrina ma, partendo dalle invidie che certi seni rischiano di suscitare, la conseguenza ulteriore dovrebbe essere il correre verso lo studio di un chirurgo estetico, di quelli dalle molteplici ospitate televisive.

Ritornando alla domanda più genuina, si dovrebbe concludere: è faccenda che riguarda gli psicologi, se non gli psichiatri (non spaventi la parola; la si usa tanto dire, anche se talvolta la fotografia è motivata da manie). Ciò è dovuto al fatto che la fotografia è uno strumento, ovviamente visivo e quindi non verbale, capace di dare avvio al vissuto profondo. Naturalmente si allude pure alla fotografia cosiddetta autoriale e a quella necessaria ad altre attività che rientrino nelle arti visive in genere (si pensi al cinema e al teatro) o connesse ad aziende commerciali (le agenzie di viaggio e non solo). Si può evitare di approfondire, per tracciarne le differenze, l’approccio dei fotoamatori (termine da molti preferito a dilettanti ma in fondo è la stessa cosa) che spesso utilizzano competenze, fotocamere e attrezzature straordinarie, per produrre scatti che poco hanno da invidiare a quelli dei professionisti. Essi stanno al di qua del mirino per passione pura e quasi mai appaiono in corpo e anima, se è vero che esiste e che la fotografia ne è specchio più degli occhi.

In realtà, è dato chiedersi sempre perché le varie categorie di fotografi scelgono di fotografare per strada invece che in una stanza da letto, perché gli anziani e non gli animali e così via. Pertanto, in fondo in fondo, c’è sempre una ragione e questa è in relazione con gli strati profondi dell’essere umano: con l’inconscio e con intenzioni non sempre scontate e immutabili.

Non possono essere prive di ragioni, a esempio, le foto in cui si seleziona una porzione di mondo per attrarre lo sguardo di chi osservi su uno strumento di lavoro, su un’ombra, su un riflesso … C’è, ogni volta, almeno l’intenzione di fermare l’orologio, di interrompere il flusso del tempo che è lineare, inarrestabile. Rispetto a questa circostanza emerge in maniera sconvolgente la rivoluzione del digitale. Se la fotografia analogica consentiva una analisi a misura d’uomo, sia dell’attimo da riprendere che della lettura del singolo fotogramma, adesso il ritmo si è fatto rutilante. Non devi più osservare, fotografare, aspettare di finire il rullino fotografico (negativo), estrarlo, svilupparlo, farlo asciugare, entrare nel buio della camera oscura, sviluppare il positivo, farlo asciugare, magari lucidarlo, tagliarlo, osservarlo e farlo osservare. Adesso si scatta e un attimo dopo chiunque può vedere quell’attimo ritratto. Quella parte di mondo si è fermato ma può darsi, come accade quasi sempre, che avrà vita brevissima. Il fatto che si possa ritrovarli tutti nel web, in qualche pagina di face book o in vari blog di appassionati, ha poco significato. Sono così tanti che a breve nessuno potrà in una vita sola rivedere tutti i propri scatti. Si figuri quelli degli altri! Questi aspetti hanno modificato anche la comunicazione tra fotoamatori. Se prima, infatti, ci si scambiava nozioni sugli obiettivi e, soprattutto, sul tipo di negativo, adesso è faccenda che riguarda i megapixel e qualsiasi fotocamera a corredo di un telefono cellulare è dotata di un sensore che fa mettere le mani nei capelli, trattandosi di numeri stratosferici. Il chiedersi perché si fotografa ha, si spera, la forza di approfondire più l’azione del fotografare che le qualità dello strumento. Per quanto importante esso sia, occorrerebbe comunque farne precedere l’uso da scelte di valore, da approcci etici, da ragioni che possano apparire rilevanti anche ad altri. Ciò almeno una volta ogni tanto, visto che adesso si fa tutto, o quasi, in automatico, senza più doversi curare delle impostazioni, senza doversi chiedere quale sia il tempo, la luce adeguata e così via. È ovvio che la conoscenza degli strumenti e delle condizioni migliori pesano molto e hanno tuttora senso, essendo fondamentali per la scelta del soggetto, dell’ora di scatto, del tipo di inquadratura e così via. È per tutto ciò che può essere ancora utile l’esperienza di un corso di fotografia o di un master, o almeno lo studio della camera oscura e, adesso è inevitabile, della camera chiara. Il web, e ti pareva!, può tornare utile anche per approfondire il complesso di nozioni attualmente di moda: immagini digitali, programmi di editing, interventi di post produzione … tutto ciò, come lo stesso Roland Barthes evidenzia nel suo saggio La camera chiara. Nota sulla fotografia, rappresenta l’isola che non c’è, lo strumento creativo dei fotoamatori del presente e del futuro, ma non è detto che sia davvero qualcosa di nuovo sotto il sole. Basterebbe considerare, infatti, che l’espressione camera chiara trae origine da uno strumento utilizzato prima che venisse scoperta la fotografia. Era un prisma. Bastava osservare il modello e la carta per poter, grazie a sua maestà la luce, disegnare con esattezza.

Michela Orlando e
Alessia Orlando

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