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Vizio di forma, il nuovo capolavoro di Paul Thomas Anderson

Anni ’70 per Vizio di Forma, l’ultimo film di Paul Thomas Anderson. Tratto dall’omonimo romanzo di Thomas Pynchon, guadagna la nomination all’Oscar come miglior sceneggiatura non originale. Sfumature di noir (e non di grigio), personaggi con storie che si intrecciano enormemente, il tutto ricorda quasi una sorta trip, tanto che sembra di guardare un film dopo aver assunto qualche sostanza stupefacente. Sarà perché Joaquin Phoenix da uomo insicuro e sfigatello di Her diventa Larry Doc Sportello, detective di Los Angeles costantemente fumato.

Tutto ha inizio quando una sua ex, Shasta, si reca da lui perché sa che è l’uomo giusto al quale rivolgersi. L’uomo che sta frequentando, infatti, sta per essere incastrato da sua moglie e dal suo amante che vogliono rinchiuderlo in un istituto mentale. In poche ore Doc si ritroverà a dover sbrogliare una matassa fatta di diversi casi che coinvolgono i più disparati personaggi, da un sassofonista a un rocker, da un surfista a uno strozzino. I misteri si intrecciano senza diventare mai del tutto chiari perché ognuno sembra avere qualche segreto. Paranoie o meno, il tutto è immerso in un denso alone di nebbia (o di fumo, come preferite) che rende il tutto ancora più accattivante.

Interessante è anche il fulcro politico di questo film che mette in luce la perdita dell’innocenza di Doc, avvenuta nel periodo in cui il suo paese ha incontrato la fase felice degli hippie fino alla tragedia di Charles Manson. I personaggi sembrano tutti malsani, tutti con qualcosa di particolare che li caratterizza e li fa ruotare intorno alla figura del protagonista. C’è il poliziotto che ha una forte ossessione, a tratti pericolosa, per Doc, la donna che lo odia e ci finisce a letto, una barca al largo e un mare di incertezze. Tutti abbandonati al limite, in una sorta di allucinazione da droghe che trasporta lo spettatore stesso.

Lunghi dialoghi, inquadrature strette, scene che riescono a rendere l’idea di una specie di trip, dell’illusione di un sogno, di un desiderio di realtà che si esaurisce nella consapevolezza di poter star lì a indagare per tutto il tempo senza mai essere soddisfatti. Tutto è inafferrabile, alternato da momenti di tensione a tristissimi spezzoni di una ricerca del passato che sembra inesauribile. L’inquietante incubo in cui si ritrova il protagonista sembra non trovare una via d’uscita.

Vizio di forma è una sorta di labirinto e sembra quasi impossibile riuscire a decifrare tutti i nodi che si intrecciano. È il ritorno del passato, è l’impossibilità di analizzare il reale a causa della voglia di rifugiarsi in un mondo sbiadito fatto principalmente di canne e di evasione. La donna che si amava e che si ama ancora nei suoi sussurri e nel suo aspetto sinuoso e magnetico. È l’amore perduto che si cerca con esasperazione nella memoria di vecchi ricordi bagnati e felici di un tempo.

Anna Scassillo

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