Home / Magazine / WebGiornale / Cultura / Le bande di stampo mafioso hanno deposto le armi

Le bande di stampo mafioso hanno deposto le armi

“Allora la fine diventa ancora una volta un inizio e l’ultima parola spetta alla vita” (P. Brook)

LE BANDE DI STAMPO MAFIOSO HANNO DEPOSTO LE ARMI
CONTESTI PER GLI AUGURI A RADIO SIANI

Si può, nessuna pena potrà essere comminata volendo arrendersi all’impulso informe, alla voglia di buttar giù quattro righe (si fa per dire) per celebrare un anniversario ma delineando il contesto, il contenitore, l’humus che fa nascere le esperienze belle qui e lì, anche a ridosso del confine di Eboli. L’ha fatto gente di ben altro spessore e per questo ci sono quelle virgolette. Tra gli altri, anche Peter Brook e l’ha dichiarato. Il suo è un lavoro teatrale che nasce da quel genere di impulso e senza tecnica. E, tuttavia, non sfugge come il suo lavoro con gli attori abbia poi consegnato opere memorabili agli spettatori. Tutto ciò è stato ed è possibile grazie a tre parole magiche: Répétition, répresentation, assistance. A chi legge, invece, non di alte opere teatrali bensì di intenzioni beneauguranti, non si dovrebbe far altro che consegnare parole certamente semplici ma soprattutto sincere. In tal senso basterebbero e avanzerebbero gli sms e addirittura i messaggi contratti di un cinguettio. Fanno piacere anche quelli, ovvio, soprattutto se provengono da gente che ha mille impegni in scadenza, ma c’è un limite. È nel fatto che di lì a un attimo i tuoi auguri si mischieranno a notizie sul pappagallo non parlante della vicina. È scappato e, se il gatto del tuo nemico condominiale non l’avrà mangiato, forse metterà radici sul tiglio di una piazza parigina oppure all’altra fondamentale informazione: il dirimpettaio ha bevuto il sesto caffè e sta correndo verso la toilette. Dopo un po’ ci aggiornerà: farà tardi al lavoro e, essendo capo becchino al cimitero di Vattelappesca, sarà redarguito dal suo naturale superiore in incognito: il prete. 

Allora occorre ripensare all’impostazione: parole semplici sì ma non pochissime, con qualche inevitabile cedimento alla voglia di far pensare di saperla lunga, mentre in realtà si è confusi e non si sa bene dove si finirà. Altrimenti si smentirebbe l’affermazione di resa all’impulso informe.

Trattandosi di auguri, il termine è noto poiché grazie a uno dei significati possibili ci proietta verso il futuro e dice del desiderio che accada qualcosa di favorevole, va segnalata la meritoria attività che svolgeva la Sibilla Cumana. Si sa: quella scendeva da un luogo impervio verso l’antro e si metteva in favore di luce. Dall’alto, un impalpabile cono chiaro si propagava e si posava sul suo corpo eretto. Non si limitava a ‘vedere’ cose belle e giuste ma non è mancato chi si sia accorto che i suoi vaticini erano ambigui. Ripensando alle sue parole: pareva ci avesse azzeccato, che avesse letto nel futuro prevedendo eventi non accaduti. C’è un evidente nesso con la camera oscura. Anche lì ci sono il buio e un fascio di luce che attraversa il negativo per creare una meraviglia ripresa nel passato ma che emerge da lì a un attimo, dal futuro quindi. Per molti anni la camera oscura è stata il grembo da cui nascevano le fotografie. Quel potenziale genitoriale non si è inaridito del tutto e tante altre foto bellissime potrebbero ancora vedere la luce in quella maniera che definiremmo normale, come i parti non pilotati. Data questa possibilità concreta, la prima regola da rispettare sarebbe: attenzione a non capovolgere il negativo in senso orizzontale o verticale. La foto sarebbe stravolta. Ciò che inizialmente, in quell’attimo fatidico, era a destra adesso lo vedi sul positivo a sinistra o quel che era sopra lo vedi capovolto. Un grandissimo guaio. Potrebbe nascere un falso, forse addirittura di un altro falso, giacché ciò che hai visto era una montatura, un miraggio. E se l’originale era una icona, sedimentatasi nell’immaginario collettivo e qualcuno si è adombrato? Meglio scappare oppure rimettere a fuoco l’idea stessa di icona e la sua evoluzione, andando a sciacquare i panni al Frac (Fondo Regionale di Arte Contemporanea), Baronissi (Sa), Direttore Massimo Bignardi, Coordinatore organizzativo Felicia Landi. Lì è possibile spalancare la bocca davanti alle opere (meglio: sotto, essendo state poste volutamente in posizione più alta della linea degli occhi, per una ragione che si potrà scoprire sul posto e nel catalogo) della mostra Icona Proposte per un’iconografia del contemporaneo La donazione dell’Open Space. Ci sarà modo di ricevere l’elegante catalogo e bere un caffè offerto dalla associazione Archeologando, anche di domenica. Una bella cricca quella di Archeologando. È gente che mentre chiudono i cinema, i teatri pure o sono sfrattati, fa cultura e semina pericolose aperture mentali: fanno riflettere, fanno capire, fanno immaginare e quindi fanno sognare altri mondi possibili. E, guarda caso, proprio a Baronissi apre la libreria che spalanca le braccia pure agli strumenti musicali: Marcellino. È omonima del titolare che poi è un Dj, legato alla banda di Archeologando e agli altri che organizzano Overline, evento estivo che produce meravigliose opere su tema, grazie agli interventi di grandi writers. Chapeau!

Ritornando alle parole, a quelle della Sibilla, emerge la stessa tecnica usata dai novelli e attuali ‘lettori’ di futuro, anche se sono illuminati dal faro di una luce davanti a una telecamera. Ciò accade, è scontato, grazie all’ambiguità delle parole ma anche delle intenzioni di chi le pronuncia o scrive e non solo volendo prevedere il futuro. Basti pensare a quante presunte verità storiche non siano per nulla vere, eppure si insiste nel raccontarle e scriverle. È opportuno, quindi, fare una scelta e pare inevitabile stare con chi per scelta dice ciò che trova sia vero e documentabile, fino a prova contraria. E questo è essenziale qualora ti accorga che si parli di storie che ti riguardano. Tra gli altri: quelli di Radio Siani che intervengono sul tema ‘camorra’ ma anche su aspetti legati alla qualità del vivere, con varie rubriche, lanciando a piena voce e in forma scritta, lampi di luce su verità che si possono trasformare in future alternative possibili per un mondo migliore. Va da sé che possano riguardarti sia storie di attualità che non recenti. Un esempio: si pensi al Trattato sulla tolleranza di Voltaire. Non nacque a caso. Sicuramente aveva ben altro da fare, quella specie di giornalista, di cui Sergio Romano scrive (in Prefazione al Trattato sulla tolleranza, RCS MediaGroup, 2010): “Voltaire aveva convinzioni forti, grandi passioni intellettuali, una vasta cultura, una scrittura ironica e scintillante, una straordinaria curiosità per gli avvenimenti del suo tempo e una prodigiosa capacità di raccontare le idee. Fu insomma, anche se la parola può sembrare riduttiva, un giornalista”.
 
Siamo nel 1763, quando lo scrive, ma fu motivato dalle sollecitazioni di Pierre Calas (forse anche della madre). Il fatto: Jean Calas, modesto commerciante a Tolosa, era stato condannato a morte e, dopo la tortura con la ruota, fu impiccato e bruciato poiché individuato come omicida del figlio Marc-Antoine.

In realtà il figlio primogenito si era suicidato, impiccato, e per quella ragione avrebbe subito esequie infamanti, secondo le regole della Chiesa dell’epoca. La famiglia si pose il problema e nascose circostanze rilevanti, da cui sarebbe emerso il suicidio, per far pensare che fosse stato strangolato. Da ciò, attraverso procedure che non potevano che portare alla individuazione di un capro espiatorio, la condanna del padre. Era una tragedia, come si può notare, e le conseguenze furono atroci. Non a caso Pierre Calas si rivolse a Voltaire. Il Nostro, da esule a Tolosa (reo di aver scritto Storia di Carlo XII), aveva scritto le tragedie Bruto e La morte di Cesare; ideò la formazione di un gruppo di opinione pubblica e, attraverso la sua penna ironica, avviò la battaglia che condusse alla riabilitazione della memoria di Jean Calas, grazie al processo di revisione del 1765. La sostanza di questa faccenda è nel fatto che Voltaire fu il primo scrittore francese a scendere in campo pubblicamente in un caso giudiziario. Si tratta di una chiara ipotesi di giornalismo cui, per fortuna, nell’attualità si è abituati, anche se non mancano ipotesi in cui verità che andrebbero fatte emergere, restano coperte da inestricabili ostacoli e qualcuno è costretto tremare per le indagini condotte, per le verità svelate, con la conseguenza di dover accettare la protezione di una scorta. Quale è la colpa? È solo nell’aver usato parole chiare. Le altre, quelle equivoche, possono essere, per certi versi, la patologia del fenomeno ‘parola’ ma possono anche rappresentare una ricchezza di sensi che ha valore in sé, al di là dell’uso che se ne faccia. Si pensi alla poesia, passando per la narrativa e giungendo ai testi per le canzonette ma soprattutto a quelle delle favole. Si scopre come ci siano parole calde come le fiamme dell’inferno o fredde, ghiacciate come l’universo profondo. Eppure le prime possono essere usate per trasmettere paura. Si pensi, in tal senso, al testo di Blue velvet, canzone impiegata da David Linch, 1986, nella versione di Isabella Rossellini, ma anche alle altre canzoni utilizzate dallo stesso Linch in Twin Peaks. In relazione al contrasto di sensazioni potrebbe bastare un verso tratto da Fallen, la canzone interpretata da Julie Cruise, per capire il senso dell’affermazione ma soprattutto la potenza magistrale di Linch, espressa anche nel saper piegare le sensazioni date dalle parole e dalle note in maniera funzionale a ciò che intende suggerire agli spettatori. A esempio l’inquietudine: Allora il tuo bacio così morbido/ Poi il tuo tocco così caldo.

Sembrerebbe trattarsi solo di un approccio amoroso ma si intreccia con la trama complessa in cui perde la vita Laura Palmer. Conferme giungono dal breve video, minuti 4.06, che si può vedere qui.

Ovviamente ce ne sono altre di parole e note fredde, che potrebbero essere usate in senso ironico ed esprimere gioia e sensualità. Sussistono almeno due ipotesi. La prima, è connessa alle fiabe ma pure alle filastrocche. Esempi si troveranno nel libro Le favole dell’attesa, Caracò Editore, antologia curata da Cristina Zagaria, e può bastare ascoltarne qualcuna nel breve video, anche se è ben altra storia leggere o ascoltare una voce cara osservando le illustrazioni.

L’altra ipotesi: parole d’amore genitoriale schietto, sentito, come quelle capaci di fare emergere la consapevolezza che si tratti dell’ultima occasione in cui poterle dire e che non lo si è fatto mai prima, molto probabilmente per non abusare di una propria posizione di potere intellettuale, artistico. Sono calde? Sono fredde? Dipende da chi le pronuncia, probabilmente. Il più toccante è il caso dell’ultima uscita sulle tavole di un palcoscenico di Eduardo a Taormina, quando parlò del figlio. Era smunto, stanco, chiaramente sofferente ma come sempre profondo, capace di far vibrare, di sollecitare l’applauso a scena aperta. Lo si può vedere e ascoltare qui, dove dichiara che intende anch’egli vedere un teatro che non si arrenda e di gelo nello stesso teatro. Era il 15 settembre 1984. Morì il 31 ottobre 1984.

Da un certo punto di vista, all’immagine che resta di Eduardo, si intende sia quella della sua vita, di cui pure parlò a Taormina, che quella del suo teatro, si adatta ciò che scrisse Socrate: “Quale pena merito io di patire, o quale multa pagare, io che nella vita rinunciai sempre a ogni quiete, e trascurando quel che curano i più: non badai ad arricchire né a governare la mia casa, non aspirai a comandi militari né a favori di popolo né ad altri pubblici onori, non m’immischiai in congiure né in sedizioni cittadine, ritenendo me stesso troppo sinceramente onesto perché potessi salvarmi se mi ci fossi immischiato; e insomma non m’intromisi là dove sapevo che intromettendomi non avrei recato vantaggio né a me né a voi; e volgendomi invece a beneficiarvi singolarmente e privatamente di quello che io reputo il beneficio maggiore, a questo mi adoperai, cercando persuadervi, uno per uno, che non delle proprie cose bisogna curarsi prima che di sé stessi chi voglia diventare veramente virtuoso e sapiente, e nemmeno degli affari della città prima che della città stessa, e così via del rimanente allo stesso modo?”

Ovviamente, sia dalle storie datate che da quelle recenti che purtroppo non possono essere raccontate nelle pagine della carta stampata per ragioni di spazio, si traggono motivazioni, spinte a fare, a schierarsi ma non si tratta di inseguire il successo. Il problema che si ha sottocchio riguarda la folle fuga verso la stupidità, verso le braccia di miti violenti in cui tuttora in molti si rifugiano. Si tratta semplicemente di suggerire che si possa tuttora ricorrere a una geometrica potenza che non sia quella delle pallottole, bensì quella delle parole e delle immagini. È per questo che la bellezza la si potrebbe individuare anche nel ritorno all’attività della Sibilla ed eccola, c’è di nuovo, per guardare con più credibilità verso il passato. È lì, nell’antro a Cuma. Si è materializzata ancora per pronunciare poche parole: “È fatta. Le associazioni di stampo mafioso hanno deposto le armi in tutto il mondo, anche quelle economiche” 

Bravi, quindi, sono stati coloro che hanno dato tanto, anche rischiando la vita. Bravi e auguri a quelli di Radio Siani. Grazie.

Alessia Orlando e
Michela Orlando

Vedi Anche

Gegè Telesforo: “Il segreto? E’ scegliere i partners giusti. Io e Arbore due afro-meridionali curiosi”

Si intitola “Big Mama Legacy” il quindicesimo album di Gegè Telesforo pubblicato lo scorso 1 …