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Cambiamento climatico: un’Europa a più velocità

A pochi giorni dal Climate Summit di New York l’Europa si presenta quanto mai frammentata all’appuntamento che introduce una serie di mesi decisivi per il futuro della lotta al cambiamento climatico, che vedrà due appuntamenti chiave nelle Conferenze delle parti di Lima e Parigi (rispettivamente a dicembre di quest’anno e a metà del 2015). La relativa debolezza dell’azione Ue in materia di contrasto al climate change, con un dibattito ancora limitato sui deludenti obiettivi da rispettare entro il 2030 in materia di clima (30 per cento di risparmio energetico, rispetto al 20 per cento che andrebbe raggiunto entro il 2020), mette in luce l’azione dei singoli Paesi che propongono strategie e azioni differenti a seconda della propria conformazione territoriale e degli obiettivi generali delle politiche dei loro governi.

Mentre l’Italia ha fatto del legame tra sostenibilità e occupazione nella green economy il faro del suo programma d’azione nella Presidenza di turno senza però far seguire adeguati investimenti nel settore né un dibattito capace di convogliare le forze imprenditoriali e sociali, la Germania è stato uno dei pochi paesi al mondo a dare seguito alle sue promesse in termini di cooperazione globale sul clima versando un miliardo di dollari nel Green Climate Fund. Merito della sua florida situazione economica, si potrebbe dire, ma soprattutto scelta politica ed economica decisiva per riaffermare il know-how del suo tessuto imprenditoriale in materia di risparmio energetico e le esperienze positive dei suoi contesti urbani e regionali, alfieri della sostenibilità riconosciute in tutto il mondo (tra queste spicca Amburgo, Capitale verde europea nel 2011 ma anche Berlino, Friburgo e altre città medie capaci di coniugare sviluppo urbano e sostenibilità). Nel caso della Germania, l’azione globale si riflette nelle scelte di politica energetica interna, dove oltre un terzo del fabbisogno energetico viene soddisfatto da un mix di fonti rinnovabili.

Particolarmente incisivi anche gli impegni presi dalla Francia, che in linea con quanto annunciato dall’Unione europea promette entro il 2030 un taglio del 30% dell’uso dei combustibili fossili e un aumento al 32 per cento dell’uso di energia da fonti rinnovabili. Definita dal presidente François Hollande “la più grande sfida del secolo”, quella del cambiamento climatico rappresenta una leva per il rilancio dell’azione di governo di un leader in crisi di popolarità ma che punta a giocare un ruolo da protagonista al vertice di Parigi, dove si decideranno i nuovi obiettivi climatici globali.

La Scozia ha monopolizzato l’attenzione del dibattito politico in Gran Bretagna nelle ultime settimane ma il tema del cambiamento climatico resta ancora tra quelli principali nell’agenda politica di David Cameron, che punta sul miglioramento dell’efficienza energetica e su un nuovo boom delle fonti energetiche rinnovabili per trainare il rilancio economico della Gran Bretagna. Se soltanto pochi giorni fa un rapporto della Global Commission on the Economy and Climate ha ricordato che il contrasto ai cambiamenti climatici non comporterà costi aggiuntivi ma contribuirà agli investimenti per la crescita, Londra fa suo l’invito a mettere i contesti urbani al centro delle strategie di contrasto alle emissioni di Co2 con una serie di interventi capaci di migliorare le performance energetiche di trasporti ed edifici pubblici. 

Più variegate invece le strategie messe in campo da altri paesi europei che si sono distinti negli anni per l’attenzione data ai temi del climate change nelle loro politiche nazionali. La Svezia rafforza la sua azione di cooperazione in tema ambientale con i sud del mondo, annunciando finanziamenti per 14 milioni di euro a progetti-pilota in Camerun, Indonesia, Peru e Colombia che favoriranno il coinvolgimento di stakeholder e comunità locali. L’Austria punta invece sulla mobilità pulita per raggiungere l’obiettivo del taglio del 40 per cento delle emissioni entro il 2030 mentre l’Olanda prosegue nella sua opera di efficientamento energetico delle sue principali infrastrutture, tra cui i porti di Amsterdam e Rotterdam, per rispettare gli elevati obiettivi fissati sul medio e lungo periodo. Si conferma un’Europa a più velocità, con paesi capaci di guardare al futuro e altri, tra cui la Polonia, che riducono le proprie emissioni o incentivano la produzione di energie verdi a ritmo ancora ridotto rispetto agli altri paesi. Resta da capire se l’Italia riuscirà fare la sintesi di tutto ciò e a rappresentare in maniera concreta ed efficace un continente che rischia di passare da alfiere della sostenibilità a timoroso temporeggiatore.

Simone d’Antonio

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