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Tutto quello che vuoi

Roma: Alessandro, 22 anni, è un mezzo coatto più per fatalità che per scelta; incontra Giorgio, poeta e intellettuale, di 85, cui fa da badante. Loro due, più altri amici di Ale, s’imbarcheranno in un viaggio nella memoria, confusa ma ancora viva, dell’anziano. Francesco Bruni, regista di questo film (ITA,17), ne è anche sceneggiatore, da un romanzo di Cosimo Calamini, “Poco più di niente”, edito da Garzanti. D’altronde, Bruni nasce come sceneggiatore: anzi è uno dei più attivi, bravi e apprezzati del cinema italiano; in tale veste insegna inoltre al Centro Sperimentale di Cinematografia. Da suoi scripts sono nati film come “Il capitale umano” (13); “Caterina va in città” (03) tutti e due di Paolo Virzì, col quale, oltre ad essere molto amico, condivide le origini livornesi; ma anche molti altri, come il recente “Lasciati andare” (17) con Toni Servillo. E anche molti per Serie Tv, tra cui quelle, di gran successo, di Montalbano, con Luca Zingaretti; “Il giovane Montalbano” e “Il Commissario de Luca”. Passato alla regia, ha diretto “Scialla! (Stai sereno)”, 11 e “Noi 4” (14); il presente film è il terzo. Però, anche se il soggetto, nelle sue linee generali, è ispirato al romanzo; diversi spunti sono legati alla vita di suo padre. In particolare quello del viaggio sugli Appennini con i soldati americani, durante la liberazione e il ritrovamento del “tesoro”. Aver saputo amalgamare le diverse provenienze dei materiali messi sulla scena, è un elemento positivo del film. Ma soprattutto esso si regge sulla qualità dello sguardo adottato nel far convivere il ragazzino, pimpante ma grezzo e lo stralunato, ma vivido, anziano e, a suo modo, nonostante la presenza dell’Alzheimer, lucido e consapevole poeta; nel far trovare loro una cifra di comune sentire, senza fare concessioni al patetismo o al buonismo semplicista. Dov’è che si incontrano? Innanzitutto nel rispetto reciproco: fin dall’inizio il vecchio intellettuale tratta Ale non con condiscendenza, o finta benevolenza, ma curiosità e rispetto. Egli, come tutti i veri intellettuali liberi che fanno della ricerca e del confronto il dato costitutivo dello stesso accrescimento della loro cultura, avverte la differenza di questo ragazzotto: ma anche ne coglie le sfumature un po’ meno evidenti di intelligenza e di sensibilità. L’enorme salto generazionale tra i due, in questo caso, aiuta: perché la distanza fa essere attenti e obiettivi. Ben più dei padri che spesso sono così presi dalle loro esigenze di sopravvivenza, dalle loro paure e ansie rispetto ai figli che poi non sono in grado di ascoltarli. Anzi, entrano in violento cortocircuito con loro. Ancor di più nell’ambiente di partenza di Alessandro che è da borgataro tozzo: e quindi il conflitto tende ad assumere con maggior evidenza e velocità i colori esteriori della violenza, sia verbale che fisica; e senza mediazione, soprattutto per la totale mancanza di retroterra culturale. Ha dichiarato il regista: “Senza volerlo ho fatto un film sull’assenza del padre. Racconto un buco generazionale, quello dei 50enni. E in questo vuoto i ragazzi guardano ai nonni come a punti di riferimento”. E d’altronde, continua, sono quegli uomini, come Montaldo (l’attore che interpreta il poeta) che hanno fatto la democrazia, hanno creato l’Italia, hanno combattuto contro i nazisti, sono riusciti ad attraversare la vita senza compromessi. E sono disposti all’ascolto”. Però l’autore ha rispettato le traiettorie ambientali di partenza, nel comporre gli incontri, e dare spazio alle ragioni profonde delle dinamiche che li rendono così vitali per tutti e due; ognuno con motivazioni e obiettivi di crescita diversi, ovviamente. Ed è un altro merito del film. Che attiene propriamente alla qualità di sceneggiatura. E’ un miracolo la flessibilità di visione così acuminata, carezzevole e sottile della profondità della scansione del personaggio di Alessandro, il giovane e talentoso Andrea Carpenzano (visto già in “Il permesso.48 ore fuori”, di Claudio Amendola,17 ). Egli si pone alle nostre viste come un trucidone; ma ci accorgiamo ben presto che il suo sollecitare il conflitto col padre, il solido caratterista di lungo corso Antonio Gerardi, è una forma di richiesta di dialogo e comprensione. Il ragazzo vive con dolore ancora oggi la morte della madre. Lui non pensa che possa esservi altra forma di esternazione che il cortocircuito distruttivo: è dal rapporto coll’anziano intellettuale che apprende che un’altra comunicazione è possibile. Quella basata sulla densità e il focalizzarsi sui pensieri cui la riflessione culturale abitua: non solo spostarsi con noncurante e superficiale velocità, senza realmente soffermarsi su nulla. Come ci si abitua, a fare ora su Facebook: ma in realtà ci si condiziona ad assumere quel modo di fare in generale. U. Galimberti la chiama “la perdita dell’intelligenza sequenziale”. Importante è anche il relazionarsi con l’amica del poeta Laura, anch’essa un po’ sullo svitato, ma affettuosa e vitale, l’attrice Raffaella Lebboroni, nella vita moglie di Bruni. Come è anche molto ben descritto, con delicatezza e consapevolezza, ma anche intensità, il suo rapporto con la più matura amante Claudia (Donatella Finocchiaro): soprattutto nel rendersi conto, da parte di lei, con realismo e saggezza, che il tempo è maturo perché Ale cresca e ami una sua coetanea, Zoe (l’attrice Carolina Pavone). Che, peraltro, e questo è un altro dato costruttivo, non è una bellezza: ma una ragazza “normale”; che, pur intellettuale, non conosce il poeta, ma vive il suo tempo con forza e autonomia personale. Il film è molto curato nei passaggi psicologici, anche del collettivo di ragazzi attorno ai due: tra i quali si segnala Riccardo, il più controverso e complesso tra i tre: che poi è il figlio di Bruni, che nella vita non è attore ma musicista e cantante. Il film, cala questo complesso gioco in una narrazione senza sbavature. Il montaggio, di Cecilia Zanuso, offre una continuità di fatti e impressioni su di essi perfettamente contestuale e logica. Aiutato dalla splendida fotografia di Arnaldo Catinari: il suo intimismo cromatico della casa del poeta è un leit motiv pittorico che avvolge poeticamente l’intero film. Le scenografie di Roberto De Angelis, bravo e professionale, danno con efficacia il senso grafico e materico della diversità degli universi e orizzonti di vita dei personaggi.

 

Francesco Capozzi

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