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Per un pugno di ulivi: quando la protesta vale più di tutto

Spostare ulivi per far arrivare il gas dall’Azerbaijan. Messa così pare facile, invece non lo è. In Puglia infatti sono mesi che si discute di piante da spostare, di tubi da far passare e di proteste che rallenterebbero la crescita futura dell’Italia. Ma perché?

I fatti: Melendugno è un comune di circa 10 mila abitanti della Provincia di Lecce ed è dove stanno prendendo il via i lavori per la costruzione del gasdotto Trans Adriatic Pipeline (TAP). Per intendersi, Tap è una multinazionale con sede in Svizzera che intende realizzare un tratto del gasdotto che dovrebbe portare gas metano dall’Azerbaijan in Europa. Il percorso previsto per il TAP parte nei pressi di Kipoi, al confine tra la Grecia e la Turchia, dove si dovrebbe collegare al Trans Anatolian Pipeline, per poi proseguire sulla terra ferma attraversando la parte settentrionale della Grecia muovendo in direzione ovest attraverso l’Albania per approdare infine sul litorale Adriatico, confluendo nella rete italiana del Salento. Il tutto con una lunghezza complessiva pari a 878 chilometri, gli ultimi 8 in Italia.

Perché si protesta? Per l’amore per il proprio territorio innanzitutto. Il punto controverso sta, in verità, nel punto selezionato per l’approdo del gasdotto: le spiagge di San Foca (San Basilio, per la precisione) che ottengono ogni anno riconoscimenti come la Bandiera Blu o le 5 Vele di Legambiente. Far arrivare opere del genere in piccole comunità come quelle del Salento significa violentarne il paesaggio, condizionare indissolubilmente le consuetudini da secoli stratificatesi, ma non solo.
Dalla Val di Susa a Chiaiano, passando, appunto, per il Salento: si protesta perché si tratta di una imposizione. Di scelte calate dall’alto in posti dove il senso di collettività è –per fortuna- ancora fortissimo. E per questo, scelte del genere vengono viste come la mano nera di un nemico, di uno Stato che non supporta i cittadini ma che, al contrario, li schiaccia con decisioni prese senza ascoltarli.

Comitati, associazioni e sindaci come quelli di Melendugno e Gallipoli sono scesi in strada per protestare ma anche il governatore della Regione Puglia, Michele Emiliano, non ha lesinato parole dolci per questa scelta che appare quantomeno forzata: «Abbiamo rilevato che il governo, che vuole realizzare un’opera strategica e noi siamo d’accordo, pretende di farla arrivare su una delle spiagge più belle della Puglia. Si è incaponito a farla arrivare lì e questo spezzerebbe il sogno di dedicare quest’area al turismo. Perché imporre lì quest’opera che si può realizzare in un altro luogo, a trenta chilometri da lì e spendendo molto meno?».

Domande sensate ma che, fino ad oggi, non hanno trovato risposta. Nel frattempo, quindi, anche sul web è partita la protesta, con le associazioni universitarie Link Lecce e La Pantera che chiedono –tramite petizione- al rettore dell’Università del Salento, Vincenzo Zara, di firmare la petizione su Change.org per “sostenere insieme questa battaglia di civiltà” (qui il link per sottoscrivere la petizione).

Il caso è significativo al di là dei precedenti come quelli già citati. C’è una popolazione con sindaci in testa che si responsabilizza e che chiede di incidere su decisioni importanti che riguardano il proprio futuro, dall’altra un governo che pare quasi voler silenziare chi protesta, mettendola sul piano dello sberleffo del “voi non avete capito che occasione stiamo perdendo” o, per dirla alla Marchese del Grillo, “io so’ io, e voi non siete un ca**o”.

In chiusura, viene da chiedersi, forse anche con un pizzico di retorica: ma se la politica è rappresentanza e le istituzioni impongono decisioni che non rappresentano i cittadini, i politici chi rappresentano?

Vincenzo Strino

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