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Star Trek Beyond

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L’Enterprise è attirata in una trappola all’interno della Nebulosa, perché, senza saperlo, il comandante Kirk possiede il pezzo di un’arma micidiale di cui è in cerca Krall, un pirata assetato di distruzione. La serie tv “Star Trek”, ideata per la tv da Gene Roddenberry nel 1964, ma realizzata nel 1966 -ovvero esattamente 50 anni fa-, non solo è a tutt’oggi la più vista; ma i suoi innumerevoli fans, sparsi per tutto l’orbe terracqueo non si limitano ad amarla, ma ne hanno fatto una specie di religione. I “Trekkers”, così si fanno chiamare, mettono in evidenza quel che di messianico e fortemente valoriale, vi è presente fin dai primi episodi. “Unità”, “Fratellanza” “Rispetto” hanno sempre fortemente caratterizzato il fare di questi esploratori dello spazio, per “conoscere” non per “conquistare” altri mondi. A differenza degli “Star Warriors”, ovvero i fan sfegatati dell’epopea di George Lucas, che invece seguono il culto della “Forza”, che ha lineamenti altrettanto mitici, benché meno duttili, gli ammiratori delle varie serie di “Star Trek” hanno visto come il suo ideatore, attraverso le avventure intergalattiche dei suoi personaggi, ha sempre rivendicato di parlare dell’attualità politico-sociale; compresi, nel tempo, i temi scottanti del Vietnam, il razzismo, le povertà ecc. Già nel 1979 ne fu tratto un film: ne seguirono altri nove. Poi nel 2009 J.J. Abrams, ha “reloaded” la saga, immaginando che nella nuova “Enterprise” c’erano i figli degli antichi protagonisti della serie tv e dei film. Praticamente ha richiamato in vita, dando loro nuova linfa ed energia, i pellegrini dello spazio, veri odissiaci dell’immaginario contemporaneo: come l’Ulisse dantesco, i nostri continuano a viaggiare per un andare senza ritorno. Il presente film (USA, 16), è il terzo di questa serie: ma qui Abrams è “solo” producer (ma sicuramente ha dato apporti creativi in sede di sceneggiatura e “consigli” registici): nel frattempo sta dirigendo i nuovi episodi di “Star Wars”; la regia è di Justin Lin, conosciuto e apprezzato per la serie di “Fast & Furious”. Ma il talento del regista taiwanese è stato indirizzato dalla bella sceneggiatura di Simon Pegg, che è anche attore tra i protagonisti dei reboot, nel ruolo semi-comico di Scotty, e Doug Young, che ha già all’attivo numerosi scripts, spesso caratterizzati da atmosfere particolari. Come è prassi dell’intera serie, sia tv che sullo schermo, assistiamo all’evoluzione della caratterizzazione dei singoli personaggi e dei rapporti interni. In particolare del saggio vulcaniano Spock e del comandante Kirk. Il vulcaniano, l’attore Zachary Quinto, per quanto romantico e innamorato della bella Uhura (la tosta, femminile ma anche ironica attrice Zoe Saldana, vista in “Avatar” e in “I Guardiani della Galassia”), ha un debito di memoria col padre, che poi sarebbe l’attore Leonard Nimoy, deceduto, in nome della quale ritiene di dover rientrare in sé stesso. Kirk, l’attore Chris Pine, cui è offerto un posto di comando non su una nave, risponde, pur dopo avere titubato: “E dov’è il divertimento?”. Ma in realtà è il senso della comunità che gli mancherebbe, allontanandosi dal suo equipaggio: quell’essere “uniti” profondamente. Come una grande famiglia allargata. E anche il cattivissimo Krall, l’attore Idris Elba, di fatto lo è per una specie di effetto di ritorno. Il che permette di mettere a confronto l’ideologia disgregativa della vendetta e della forza, intesa come sopraffazione e violenza, e quella della conoscenza reciproca e del rispetto. Questa utopia è però coerente allo sviluppo del movimento del film: ne è una guida “interna”, non si sovrappone mai allo svolgersi degli incontri dei vari personaggi, costretti a dividersi per coppie, e dell’azione che va avanti fluida. I duetti sono piacevoli, perché mettono a confronto personaggi: dal che scaturiscono diversità e precisazioni. Come quello tra Scotty e l’aliena combattente Jaylah, l’attrice algerina, di fascino e impatto visivo, Sofia Boutella. C’è pure un inseguimento in moto: strampalato, ma che “ci sta”, in uno scorrere visuale originale e accattivante. Anzi: il conflitto tra la geometrica linearità dell’astronave e il disordine inospitale e aspro del pianeta-prigione, e la barbaricità tecnologico-primitiva dei suoi ambienti abitati, mette in luce la cura della direzione artistica del film, la cui organizzazione è di Don Macauley. Egli ha coordinato e reso unitari i vari ambienti narrativi del film, così assolutamente diversi tra loro. E’ inutile sottolineare la qualità e la puntuale, svelta efficacia degli effetti visuali: sono numerosissimi i tecnici della varie e importanti società che vi hanno lavorato. Coordinati da Peter Chiang responsabile della “Double Negative”, Pauline Duvall della “Bad Robot/Kevin Optical”, Kim Doyle ed altri. Tutti artisti scafati che costruiscono atmosfere perfettamente funzionali, ancorché belle da vedere. Ma l’idea unitaria della qualità artistica è suggerita dal designer Thomas E. Sanders, che ha ben calibrato e amalgamato in un difficile equilibrio dinamico, le linee, gli spazi e gli oggetti. La direzione della foto di Stephen F. Windon ha avuto la sua importanza nell’unire i toni cromatici; come il montaggio, assai “furbo” e articolato nel sospendere la tensione, ha accompagnato e puntualizzato lo svolgersi della vicenda: e sono infatti ben quattro i montatori accreditati del film.  Ma chi fa riusciti film d’azione, come il regista Lin, sa bene che il montaggio è determinante nel dare ritmo e “personalità” al film. Ma la sua caratteristica originale, il suo fascino, è che non siamo di fronte al solito giocattolone hollywoodiano pieno di botti e colpi di scena: c’è un’anima. La capacità di avvolgere le avventure su una trama di principi e di personaggi ben identificati e nobilmente, oltre che riuscitamente umani. Che ci parlano, pur nei termini dell’avventura e della suspense, di inviti a comportamenti rispettosi dell’umanità e delle sue differenze, dell’ambiente: in un America in cui c’è un tizio (D. Trump) che aspira a diventare Presidente e ci parla di “muri”, “cacciata”, “superiorità”, ecc., danno al film una valenza che va “oltre” (come recita il titolo) il suo essere anche bello. 

Francesco Capozzi

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