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Zona d’ombra, una scomoda verità

Ben Omalu, anatomopatologo forense di origine nigeriana a Pittsburgh, è intelligente, scrupoloso e coraggioso.  In cerca della verità in un inspiegabile caso di follia-suicidio, va a scontrarsi con la potentissima Football League, che muove miliardi di dollari… Il titolo originale è “Concussion” e indica l’urto violentissimo di testa dei giocatori per mantenere o togliere il possesso palla. Da cui nasce quell’eccitante spettacolarità visiva del gioco. Dai ripetuti, brutali cozzi, però, può scaturire l’Encefalopatia Traumatica Cronica che produce delle proteine che distruggono il cervello. Si calcola che circa il 25% dei giocatori professionisti ne possano essere affetti. L’ardire dei produttori è stato notevole: tra essi vi sono il grande regista Ridley Scott, che è inglese, e sua moglie, Giannina Facio, che è brasiliana. E la denuncia è all’interno di un bel film. La regia e la sceneggiatura sono di Peter Landesman: cui si deve lo script di “La regola del gioco” (14), che smascherava la triangolazione tra CIA/Presidenza Reagan, narcotrafficanti e i Contras del Nicaragua. L’accusa prende anima e carne dalla caratterizzazione psicologica del Dott Omalu: egli è rispettoso delle persone non più vive con cui ha a che fare, alquanto ben reso da un concentrato Will Smith. Interessante è il personaggio del medico sociale, l’attore Alec Baldwin: egli, pur parte dello sport-business, aiuta il suo collega, consapevole di andare incontro all’ostracismo dei suoi ex amici. Il film si regge su questo coordinamento/conflitto tra la ricerca e l’ambiente sotto attacco. L’atmosfera del film è d’inchiesta: una specie di thriller collettivo, perché sotto osservazione è lo sport, un mito costitutivo dell’intera società. 

Francesco Capozzi

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